giovedì 30 dicembre 2010

Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni

di Woody Allen

You Will Meet a Tall Dark Stranger, USA / Spagna 2010, commedia, 98'. Con Naomi Watts, Gemma Jones, Anthony Hopkins, Josh Brolin, Antonio Banderas, Freida Pinto, Anna Friel, Lucy Punch, Pauline Collins, Ewen Bremner, Eleanor Gecks, Christian McKay, Neil Jackson.

❋❋❋½

Locandina originale

Woody Allen non sforna un capolavoro da tempo. Forse sarà diventato un po’ ripetitivo, ma i suoi film raramente ci lasciano con la sensazione che non sia valsa la pena di vederli. Accontentiamoci (per modo di dire). Uno dei suoi punti di forza incontestabili resta la direzione degli attori (qualche anno fa riuscì a far recitare persino Colin Farrell!): in questo caso, un cast che sulla carta avrebbe potuto apparire male assortito si rivela invece estremamente azzeccato e affiatato, con una menzione speciale per la bravissima Gemma Jones, mentre il personaggio più divertente ma anche più scontato è quello di Anthony Hopkins. Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni è un titolo molto beneaugurante nella traduzione italiana, mentre l’originale You Will Meet a Tall Dark Stranger lo è molto meno. Lo straniero alto e vestito di nero che — chi prima, chi poi — tutti incontreremo è, ovviamente, la Morte, nella raffigurazione bergmaniana de Il settimo sigillo, da sempre presente nel cinema del regista. Alfie è un uomo ormai anziano che lascia la moglie Helena per un’avvenente squillo di nome Charmaine che è interessata solo al suo portafogli e non certo alle sue prestazioni dopate da pillole di Viagra.

lunedì 27 dicembre 2010

Le notti bianche

di Luchino Visconti

Italia 1957, mélo, 107', b/n. Con Maria Schell, Marcello Mastroianni, Jean Marais, Clara Calamai, Marcella Rovena, Maria Zanolli, Elena Fancera, Lanfranco Ceccarelli, Angelo Galassi, Renato Terra, Corrado Pani, Dick Sanders.

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Locandina

Subito dopo Senso, Luchino Visconti usa il romanzo breve di Dostoevskij per prendere ancora di più le distanze da quel neorealismo a cui lui stesso aveva dato origine: il primo film chiaramente ascrivibile al genere viene infatti quasi unanimemente considerato Ossessione, anche se Michelangelo Antonioni l’aveva di fatto anticipato di poco con Gente del Po, il suo primo cortometraggio. Visconti stesso ebbe modo di parlare di “neoromanticismo” in occasione de Le notti bianche, proprio mentre — quello stesso anno — la critica francese parlava di “neorealismo interiore” a proposito de Il grido di Antonioni: il cinema italiano stava passando gradualmente da una prospettiva che, nell’immediato dopoguerra, per ovvie e molto urgenti esigenze, non poteva che essere collettiva e “sociale”,  a un più individuale intimismo (anche se a dire il vero, Il grido è in realtà, curiosamente, l’unico film di Antonioni in cui l’aspetto sociale, pur rimanendo come al solito sullo sfondo della vicenda, ha una certa importanza). Le notti bianche non è certo un capolavoro al livello de Il grido, ma resta un film bellissimo, molto complesso e purtroppo anche molto sottovalutato, nonostante all’epoca si fosse aggiudicato il Leone d’Argento al festival del cinema di Venezia: vanta le intense interpretazioni dei due protagonisti Maria Schell e Marcello Mastroianni (il cui genio d’attore era davvero quello di essere un “uomo normale”, come tanti); la breve ma incisiva apparizione di una Clara Calamai tetra e minacciosa, che non si dimentica; un meraviglioso bianco e nero, nitido e contrastato, di Giuseppe Rotunno; un non memorabile ma funzionalissimo commento musicale di Nino Rota.

martedì 21 dicembre 2010

Stanno tutti bene

di Kirk Jones

Everybody's Fine , USA / Italia 2009, drammatico, 99'. Con Robert De Niro, Kate Beckinsale, Drew Barrymore, Sam Rockwell, Katherine Moennig, Melissa Leo, James Frain, Brendan Sexton III, Seamus Davey-Fitzpatrick, Lily Mo Sheen.

❋½

Locandina italiana

Quasi sicuramente, l’originale omonimo del 1990 di Giuseppe Tornatore è il film peggiore in assoluto del regista siciliano (la gara potrebbe essere al limite con Malèna). Per questo motivo, l’annuncio che Kirk Jones ne avrebbe girato un remake lasciò un po’ tutti di stucco. In effetti, non si capisce molto il senso di una simile operazione, che trasforma quello che era un (disastrosamente malriuscito) film d’autore con vane ambizioni sociologiche in una specie di commedia incrociata con un film strappalacrime. Si vocifera che gli americani volessero girare in realtà un remake di Nuovo cinema Paradiso, ma che il progetto non sia mai andato in porto per l’impossibilità di ambientare la scena dei baci tagliati negli Stati Uniti, dove non esistono le sale parrocchiali. Di conseguenza, ecco invece il remake di Stanno tutti bene, che poteva essere se non altro un’occasione per rifare un po’ meglio un film che una buona idea di partenza ce l’aveva. Se qualcosa da salvare nel pessimo film di Peppuccio Tornatore c’era, infatti, era proprio l’amarezza di fondo della storia di un vedovo che partiva dalla Sicilia per andare a trovare i suoi figli sparsi per la penisola e li scopriva molto meno felici e realizzati di quanto gli avessero raccontato da lontano: fino ad arrivare, nel finale, a mentire a se stesso anche sulla tomba della moglie pur di non ingoiare la triste verità.

lunedì 20 dicembre 2010

Strade perdute

di David Lynch

Lost Highway, USA / Francia 1997, noir, 134'. Con Bill Pullman, Patricia Arquette, Balthazar Getty, Robert Blake, Robert Loggia, Natasha Gregson Wagner, Richard Pryor, Lucy Butler, Michael Massee, Jack Nance, Jack Kehler, Henry Rollins, Giovanni Ribisi, Scott Coffey, Gary Busey.

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Locandina originale

Ci sono almeno due modi di approcciarsi al cinema di David Lynch. Il primo è cercare di ricostruire le sue storie frantumate in mille pezzi, mettendo assieme i tasselli di puzzle affascinanti: la struttura narrativa di film come Strade perdute e Mulholland Drive è stata spesso associata al nastro di Möbius, nel quale esiste un solo lato e un solo bordo, in modo tale che dopo aver percorso un giro sulla sua superficie ci si ritrova dalla parte opposta. Il secondo è quello di rinunciare, almeno durante la visione, a uno sforzo così cerebrale per farsi guidare ciecamente dal regista all’interno dei suoi mondi. Nonostante le numerose interpretazioni reperibili su Internet e la ricca bibliografia dedicata alle sue opere, personalmente preferiamo decisamente la seconda modalità per almeno due motivi. Innanzitutto, riteniamo che Lynch sia uno dei più grandi registi di tutta la storia del cinema. Ciò significa in particolare che la nostra fiducia nei suoi confronti è totale e che le accuse che gli vengono rivolte spesso da alcuni, di divertirsi cinicamente a “prendere in giro” lo spettatore, ci lasciano totalmente indifferenti.

domenica 19 dicembre 2010

Tenebre

di Dario Argento

Italia 1982, thriller, 99'. Con Anthony Franciosa, Daria Nicolodi, Giuliano Gemma, John Saxon, Lara Wendel, John Steiner, Veronica Lario, Ania Pieroni, Mirella D’Angelo, Eva Robins, Carola Stagnaro, Christian Borromeo, Enio Girolami, Marino Masé, Michele Soavi.

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Locandina

Dopo due horror soprannaturali quasi completamente calati nell’oscurità come Suspiria e Inferno, Dario Argento torna al thriller e alla luce del sole con un film intitolato, molto provocatoriamente, Tenebre. Mai come in questo caso, infatti, tutto — efferati delitti e traumi non rimossi del passato — avviene in pieno giorno: sintomatica, in tal senso, la scena dell’omicidio di John Saxon in una piazza assolata e affollata di passanti, probabilmente il culmine di un film con il quale Argento ritorna non solo, come detto, al thriller e alla luce del giorno ma, non secondariamente, alla modernità. Tenebre è infatti ambientato in uno dei quartieri più futuristici di Roma, quell’EUR che già Michelangelo Antonioni aveva scelto vent’anni prima per ambientarvi L’eclisse, storia di un mondo freddo e disumanizzante in cui i sentimenti si sfaldano come neve al sole e l’uomo viene ridotto a niente più di un mero oggetto. Argento ovviamente è — almeno apparentemente — lontano anni luce da Antonioni, a partire dal suo rapporto con il giallo, che il regista ferrarese utilizza, al contrario di lui, come puro pretesto ribaltandone gli stereotipi (il famoso “giallo alla rovescia”).

domenica 12 dicembre 2010

The Social Network

di David Fincher

The Social Network , USA 2010, drammatico, 120'. Con Jesse Eisenberg, Andrew Garfield, Justin Timberlake, Armie Hammer, Max Minghella, Rashida Jones, Joseph Mazzello, Brenda Song, Rooney Mara, Adina Porter, Malese Jow.

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Locandina italiana

David Fincher racconta la nascita del social network Facebook. “Non arrivi a 500 milioni di amici senza farti qualche nemico”, è la frase di lancio del film. E in effetti, come recita il sottotitolo del libro Miliardari per caso di Ben Mezrich — che Aaron Sorkin ha adattato per il grande schermo — la storia di Facebook è “una storia di soldi, sesso, genio e tradimento”. È, anche, una storia completamente maschile, dove le donne fungono al più da motore di avvio della vicenda (davvero memorabile la sequenza di apertura), ma non diventano mai parte attiva all’interno di essa. Nelle primissime scene subito dopo i titoli di testa, Fincher sembra quasi intenzionato a riproporre la (debole) struttura narrativa di un film pesantemente cronachistico come Zodiac (2007), ed un paio di didascalie con ora e luogo dell’accaduto fanno temere il peggio. Che per fortuna non si verifica: The Social Network è un film teso e riuscito, ben diretto e molto ben interpretato, che si affida ad una struttura narrativa navigata — le varie tappe nella nascita di Facebook avanzano infatti sullo schermo parallelamente alla causa legale da 600 milioni di dollari indetta contro il suo creatore Mark Zuckerberg — che non brilla di certo per originalità, ma che senz’altro funziona: dalla creazione in una notte, subito dopo essere stato lasciato dalla sua ragazza Erica Albright, del sito “FaceMash” che permette di votare chi è più attraente tra due ragazze dell’università di Harvard scelte a caso di volta in volta, fino all’incontro con i gemelli Winklevoss ed il loro socio Narendra e al coinvolgimento finanziario dell’amico Eduardo Saverin che porterà poi alla nascita di “Thefacebook” (scoprite da soli chi sarà a consigliare di togliere il “The”), il film procede spedito di entusiasmo in entusiasmo, di tradimento in tradimento, di successo in successo.

domenica 5 dicembre 2010

Gruppo di famiglia in un interno

di Luchino Visconti

Italia / Francia 1974, drammatico, 121'. Con Burt Lancaster, Silvana Mangano, Helmut Berger, Claudia Marsani, Stefano Patrizi, Elvira Cortese, Philippe Hersent, Guy Tréjan, Jean-Pierre Zola, Umberto Raho, Enzo Fiermonte, Romolo Valli.

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Locandina

Gruppo di famiglia in un interno (titolo bellissimo) è il penultimo film di Luchino Visconti e viene in genere considerato il suo testamento spirituale. Un professore americano ormai anziano (alter ego del regista ben impersonato da Burt Lancaster) ha deciso di ritirarsi tra libri e quadri nella sua casa in un antico palazzo di Roma. La sua quiete viene turbata improvvisamente dall’irruzione di un’affittuaria facoltosa e volgare, la marchesa Bianca Brumonti, che si stabilisce al piano superiore insieme all’amante Konrad, alla figlia Lietta e al di lei fidanzato Stefano. Il professore è inizialmente disgustato dai rappresentanti di una borghesia nuova, tanto arrogante quanto “scandalosa” (Lietta organizza degli incontri a tre nel suo appartamento con Konrad e Stefano), ma poi, comprendendo che i suoi libri ed i suoi quadri non gli bastano più e mitizzando la vitalità della gioventù, finisce quasi per cercare la loro amicizia, fino a quando un nuovo “inquilino” non arriverà al piano superiore nel finale. Visconti affronta i temi della solitudine della vecchiaia e della decadenza del presente rispetto a un passato che non c’è più: la sua è una nostalgia che se da un lato trova espressione nella contrapposizione, visivamente pregnante e profondamente affascinante, tra l’appartamento del professore e quello soprastante che la famiglia rimoderna completamente, dall’altro viene sottolineata inutilmente ed eccessivamente attraverso dialoghi e situazioni spesso troppo espliciti e didascalici, cui gli ottimi attori riescono a sopperire solo parzialmente con il buon mestiere.

giovedì 2 dicembre 2010

L’estate di Kikujiro

di Takeshi Kitano

Kikujiro no natsu, Giappone 1999, commedia, 121'. Con Takeshi Kitano, Yusuke Sekiguchi, Kayoko Kishimoto, Kazuko Yoshiyuki, Yûko Daike, Beat Kiyoshi, Gurêto Gidayû, Rakkyo Ide.

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Locandina italiana

Takeshi Kitano firma qui un film che possiede la fresca semplicità di un sentiero di campagna. Masao è un bambino che abita a Tokyo con la nonna che lavora tutto il giorno. Con l’arrivo dell’estate, Masao inizia a sentirsi solo: i suoi amici sono partiti per le vacanze e il campo di pallone dove gioca è ormai deserto. Decide quindi di andare alla ricerca di sua madre, che non conosce e che vive vicino al mare. Un’amica di sua nonna gli affianca Kikujiro, un cinquantenne dai modi sgarbati che lo accompagnerà nel suo viaggio. Takeshi Kitano dirige un film che è contemporaneamente un road-movie ed un elogio dell’infanzia — di “spirito” piuttosto che anagrafica — accostando due personaggi che sarebbe davvero difficile immaginare più diversi: tanto Kikujiro è scorbutico e prepotente con tutti quelli che incontra, quanto Masao è ingenuo e gentile. Anche se in realtà Kikujiro è un personaggio molto più sfaccettato di quanto potrebbe sembrare inizialmente: ha acquisito molti lati negativi dell’essere adulti, ma ha anche saputo conservare intatta quell’ingenuità infantile che gli permette di guardare alla vita senza pesantezza e con grande ottimismo, lasciandosi alle spalle ogni negatività. In fondo, la favola de L’estate di Kikujiro sarebbe anche molto amara, con Masao che è stato abbandonato da una madre che si è rifatta una vita risposandosi e lo stesso Kikujiro che ad un certo punto ritrova la propria madre ormai anziana in un ospizio: entrambi i personaggi condividono un’orfanezza che se per Masao è letterale, per Kikujiro assume i tratti di una sostanziale solitudine che non è di certo meno dolorosa.