giovedì 26 agosto 2010

Battle Royale

di Kinji Fukasaku

Batoru rowaiaru, Giappone 2000, azione, 114'. Con Tatsuya Fujiwara, Aki Maeda, Tarô Yamamoto, Masanobu Ando, Takeshi Kitano.

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Locandina originale

Diceva Alejandro Jodorowsky che certi film orientali (e citava ad esempio L’isola – Seom di Kim Ki-duk e Visitor Q di Takashi Miike) li si guarda fotogramma per fotogramma a bocca aperta, senza credere sia possibile che stia davvero accadendo ciò cui si assiste, tanto sono estreme le situazioni che vengono proposte. Questo Battle Royale, tratto dal romanzo omonimo di Koushun Takami pubblicato nel 1999, ci sembra appartenere a tal categoria. Siamo in un futuro prossimo, nel quale i giovani giapponesi sono diventati troppo esagitati, e la popolazione adulta sta perdendo lentamente la sua autorità, soprattutto in ambiente scolastico. Per disciplinarli viene emanato il “Battle Royale Act” (!): ogni anno viene scelta a caso una scolaresca, e catapultata su di un’isola deserta. Qui gli studenti sono costretti a cimentarsi in un crudele gioco di sopravvivenza, nel quale — dotati ciascuno di un’arma diversa, più o meno potente — sono spinti ad uccidersi a vicenda, siccome solo l’ultimo sopravvissuto potrà tornare sano e salvo a casa. Infatti, se allo scadere dei tre giorni durante il quale si svolge il gioco saranno in vita più individui, il comitato supervisore (di cui fa parte il prof. Kitano) ucciderà tutti facendo esplodere il collare elettronico legato al collo di ogni giocatore. Il cinema ci insegna che l’uomo, messo nelle condizioni opportune, sprigiona tutta la violenza che è in sé (Cane di paglia). La sprigiona anche senza le condizioni opportune, ben volentieri (Arancia meccanica). Insomma, avrete intuito che il tema non è propriamente nuovissimo, e bisogna dire che affrontarlo per mezzo di una rappresentazione della violenza stile Ken il guerriero, con ammazzamenti che si trascinano per due ore senza molta inventiva né ritmo, e senza una dose massiccia di auto-ironia, non è serio. Se ci si aggiunge poi in colonna sonora anche un po’ di musica classica (ovviamente scollatissima dalle immagini), tanto per assicurare il solito tocco d’auteur, ecco che il livello del film scende ancora più in basso. Gli adolescenti segregati in un luogo isolato e che si assuefanno in breve alla violenza che subiscono ricordano tanto il Salò di Pasolini, come alcuni dettagli (la ragazza che muore mangiando). Ma ci sono almeno due differenze sostanziali. La prima è che un film simile in Italia oggi non lo girerebbe più nessuno, mentre in Giappone a quanto pare è ancora pensabile — anche se Battle Royale è stato oggetto in patria di discussioni parlamentari e in altri paesi è stato censurato. La seconda è che vedere Salò è ogni volta (ammesso che si abbia il coraggio di rivederlo) un’esperienza decisamente scioccante — non a caso è tra i film preferiti di Michael Haneke — mentre vedere Battle Royale è, alla fin fine, appunto non troppo diverso dal vedere una qualsiasi puntata di Ken il guerriero.

Battle Royale