di Nanni Moretti
Italia 1993, commedia, 100'. Con Nanni Moretti, Renato Carpentieri, Antonio Neiwiller, Claudia Della Seta, Lorenzo Alessandri, Raffaella Lebboroni, Marco Paolini, Moni Ovadia, Riccardo Zinna, Jennifer Beals, Alexandre Rockwell, Giulio Base, Carlo Mazzacurati, Italo Spinelli, Valerio Magrelli, Sergio Lambiase, Gianni Ferraretto, Pino Gentile, Serena Nono, Mario Schiano.
Caro diario è un grande film e come tutti i grandi film è un’opera di straordinaria semplicità, a partire dalla struttura tripartita ad episodi che ne maschera bene l’insospettata complessità e contemporaneamente ne suggerisce un’apparente ed ingannevole sconnessione narrativa. Nella prima parte del film, che è intitolata In vespa, siamo a Roma nel mese di agosto, dove il personaggio-protagonista girovaga appunto in vespa, cercando quartieri e luoghi inusuali. Va al cinema e vede, oltre a un film italiano sulle sconfitte presunte della sinistra e del ‘68, Henry – Pioggia di sangue (1986) di John McNaughton. Trovandolo brutto e troppo violento, decide di fare un terzo grado a un critico che ne ha tessuto le lodi con un linguaggio pseudo-colto e incomprensibile (piccola apparizione di Carlo Mazzacurati). Dopo aver osservato delle coppie ballare il merengue, incontra Jennifer Beals, la protagonista di Flashdance (1983) di Adrian Lyne, che lui aveva in precedenza elogiato. Infine visita il luogo dove venne assassinato Pier Paolo Pasolini. Nella seconda parte, Isole, la più disimpegnata e divertente, incontra un amico che non ama la televisione. Insieme girano le isole Eolie fino a quando la tranquillità e la solitudine non fanno esplodere l’amico, che si converte a Beautiful e a Chi l’ha visto? e fugge verso il continente. La terza parte, Medici, è infine la cronistoria, con tanto di ripresa iniziale autentica, di una lunga malattia che Moretti aveva contratto: diagnosi e medicine sbagliate, medici poco disposti ad ascoltare. Poi il paradosso finale: quella che sembrava una malattia della pelle era in realtà un tumore benigno e i sintomi erano riportati da una semplice enciclopedia medica. In Caro diario — premio per la miglior regia al Festival di Cannes 1994 — per la prima volta il regista-attore si mette in scena in prima persona, rinunciando all’alter ego Michele Apicella, e per la prima volta adotta la struttura narrativa del diario, che sarà alla base anche del successivo Aprile. Ma se quest’ultimo è un film sostanzialmente solare e positivo, spensierato, in Caro diario tutto ruota intorno ad un girovagare senza meta molto antonioniano — non è un caso se il secondo episodio è ambientato nelle isole Eolie e prende l’avvio proprio da Lipari — che, in apparente spensieratezza, finisce per approdare sempre a destinazioni all’insegna del male di vivere (il litorale di Ostia luogo dell’assassinio di Pasolini, la scoperta del tumore) o a delle fughe (il finale del secondo episodio). Così, il film evolve dalla fiducia e l’ottimismo del primo, solare episodio («Voi gridavate cose orrende e violentissime e voi siete imbruttiti; io gridavo cose giuste e ora sono uno splendido quarantenne!») verso un’impossibile ricerca di tranquillità e comprensione («Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone, mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza…») che è impensabile riuscire a trovare negli eoliani chiusi in sé stessi e incapaci di comunicare; fino alla disperata ricerca di una qualche medicina per curare il proprio — inspiegabile — star male. Saper vivere, sembra dire Moretti, significa saper cogliere e vedere la bellezza nelle cose più semplici; significa essere in grado di emozionarsi girando in vespa per le strade dei vari quartieri di Roma in una giornata estiva assolata e deserta; significa guardare gli altri ballare (il merengue) o tentare di imitarli (Silvana Mangano in Anna di Lattuada), e riuscire ad emozionarsi anche quando la vera aspirazione sarebbe, in realtà, un’altra («In realtà il mio sogno è sempre stato quello di saper ballare bene […] e invece alla fine mi riduco sempre a guardare, che è anche bello, però… è tutt’un’altra cosa»). E scoprire alla fine che spesso ciò che avrebbe il potere di farci stare meglio, aiutandoci a saziare la nostra “inevitabile” sete di vivere, non sarebbe tanto un mare di medicine inutili quando non addirittura dannose: basterebbe ogni tanto, se fosse possibile, un semplice «sorso di umanità», come canta una grande Fiorella Mannoia sui titoli di coda di questo meraviglioso film che riconcilia con la vita e il mondo tutto.