di Nanni Moretti
Italia 1998, commedia, 78'. Con Nanni Moretti, Silvio Orlando, Silvia Nono, Pietro Moretti, Agata Apicella Moretti, Nuria Schoenberg, Silvia Bonucci, Quentin de Fouchecour, Renato De Maria, Claudio Francia, Jacopo Francia, Matilde Francia, Daniele Luchetti, Giovanna Nicolai, Nicola Piepoli, Corrado Stajano, Angelo Barbagallo, Marco Messeri, Andrea Molaioli.
Aprile inizia con il discorso di Emilio Fede al Tg4 per annunciare la vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni politiche del 1994, e Moretti che dice: «La sera del 28 marzo del 1994, quando vinse la destra, per la prima volta in vita mia mi feci una canna». Dopo Caro diario, Moretti torna a fondere vita politica e vita quotidiana. E lo fa, ancora una volta, con la forma episodica, molto libera, del diario. L’aprile del titolo è quello del 1996, un mese che porta due lieti eventi nella vita del regista: la nascita del figlio Pietro e, appena tre giorni dopo, la vittoria della sinistra (del centro-sinistra) alle elezioni politiche anticipate con la coalizione guidata da Prodi. Aprile è uno dei film più sereni e spensierati di Moretti. Solare, leggero, divertito, divertente. Qui il regista non vuole fare nessuna morale, né indagare in alcun modo la psicologia dei personaggi come in film quali Bianca o La stanza del figlio: vuole raccontarsi e raccontare il suo Paese, attraverso alcuni episodi come la manifestazione del 25 aprile sotto la pioggia contro il governo Berlusconi, le manifestazioni leghiste a Venezia e lo sbarco dei profughi albanesi in Puglia. Il centro del discorso è l’incapacità comunicativa e reattiva della sinistra: celeberrima la scena in cui Moretti incita, davanti alla televisione, Massimo D’Alema a dire «una cosa di sinistra» mentre guarda una puntata di Porta a Porta in cui questi tace di fronte agli interventi incalzanti di Berlusconi. Un’incapacità che però non è nemmeno (più) solo formale, un problema di linguaggio, come poteva essere ai tempi di Palombella rossa, ma anche mancanza di contenuti, assenza, indifferenza, come dimostra la scena sulla spiaggia deserta dove la troupe aspetta i profughi albanesi. Mentre la stampa è tutta uguale a se stessa, è un unico grande giornale, un grande lenzuolone indistinto nel quale rotolarsi. Dal punto di vista lavorativo, Moretti si autoritrae come un regista combattuto tra il dovere di girare un documentario sullo scenario politico italiano e il piacere di girare invece un film musicale su un pasticciere trotzkista nell’Italia degli anni ‘50. Sceglie il dovere, relegando il piacere a un simpatico finale kitsch in cui fa ballare addirittura Silvio Orlando: prima il dovere poi il piacere, non è un caso se gli psicologi nei suoi film abbondano. E se in Caro diario attaccava John McNaughton, qui se la prende con altri colleghi: Michael Mann (Heat - La sfida) e Kathryn Bigelow (Strange Days). Mentre dal punto di vista privato e familiare, si mette in scena come un padre ansioso ma affettuoso, un po’ mammone: «Cominciava a pensare al bambino e finalmente affrontava la sfida di un uomo che deve diventare adulto. Ma perché deve diventare adulto? Non c’è motivo!». Il figlio su una spalla ed una grande radio sull’altra, si mette a ballare sulle note di Ragazzo fortunato di Jovanotti. Moretti non vuole proprio crescere, continua a criticare e responsabilizzare gli altri e ad assolvere se stesso. È un atteggiamento irritante? Sicuramente sì. Ma si sa, Moretti è così, uomo pieno di contraddizioni e fin troppo consapevole di ciò: prendere o lasciare.