giovedì 16 settembre 2010

L’amore buio

di Antonio Capuano

Italia 2010, drammatico, 110'. Con Irene de Angelis, Gabriele Agrio, Valeria Golino, Corso Salani, Luisa Ranieri, Anna Ammirati, Fabrizio Gifuni, Luigi Attrice, Loredana Simioli, Michele Scala.

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Locandina

Una ripresa aerea di Nisida — isola a sud di Napoli che ospita un carcere minorile — immersa nell’azzurro scintillante del mare riassume il senso dell’ultimo, straordinario film di Antonio Capuano. Come gli occhi del suo giovane coprotagonista, l’esordiente Gabriele Agrio: uno verde-blu, uno nocciola. Siamo a Napoli, dove alla fine di una domenica di sole, mare, tuffi e pizza (questa apertura potrebbe ricordare quasi quella di Lo specchio della vita di Douglas Sirk), quattro ragazzini stuprano Irene, anche lei adolescente. Uno di loro, Ciro, la mattina dopo è preso dai sensi di colpa e va a denunciare sé e gli altri. Sono condannati a due anni di reclusione da scontare nel carcere minorile di Nisida, appunto. Il regista partenopeo parte dal racconto di un ragazzo che, sul set di un suo film, gli aveva raccontato la sua incredibile storia: dopo aver stuprato una ragazzina, essersi autodenunciato ed essere finito in carcere, aveva iniziato a scriverle; e lei, dopo un po’, gli aveva risposto, intessendo lettera dopo lettera un rapporto che alla sua uscita dal carcere li avrebbe portati addirittura a sposarsi. Oggi hanno due figli e lui lavora per suo suocero, nonostante all’inizio ovviamente la famiglia di lei si fosse opposta a questa relazione. Il film modifica il finale, che forse sullo schermo sarebbe risultato (paradossalmente) troppo inverosimile, ma conserva l’idea di un amore buio, sotterraneo e indicibile, che viene solo accennato attraverso lo scambio di lettere tra i due giovani protagonisti del film. Che rappresentano due facce diverse di una terra contraddittoria: Ciro è il tipico scugnizzo napoletano, tutto scorribande in moto per le strade di Napoli e che scoppia di «una vitalità colorata che però può diventare pericolosa», come ha osservato il regista; Irene invece appartiene alla Napoli bene, è molto più taciturna e distaccata, forse fredda. Lo stupro del film è anche, simbolicamente, lo stupro di una città bellissima da parte del suo lato più oscuro, quello della criminalità organizzata che fa leva sulla diffusa povertà; e dei suoi abitanti più poveri da parte di chi può permettersi di andare a vivere in America, al ventiquattresimo piano (che per qualcuno, al contrario di quello che dice la mamma di Irene, è davvero “molto” in alto). Attraverso le sbarre del carcere in cui è rinchiuso Ciro si intravvedono le luci colorate delle navi da crociera, che solcano il golfo di Napoli come il Rex felliniano. Eppure, le conseguenze della sua violenza su Irene sono così devastanti che ad un certo punto viene quasi da chiedersi chi dei due stia vivendo il vero carcere: poco prima di essere assalita dal branco, Irene si stava baciando in macchina col suo ragazzo; dopo lo stupro ogni contatto fisico con lui le provoca solo conati di vomito, e a poco servono psicologi e corsi di teatro per cercare di superare il trauma. Mentre in carcere Ciro ha l’occasione di dedicarsi ad attività che la società, al di fuori di esso — ancora una volta contraddittoriamente — gli negava. Come dice qualcuno ad un certo punto nel film, «il vero carcere sta fuori». L’amore buio non è un film perfetto, convince molto di più quando suggerisce un’emozione tramite un silenzio o un’immagine (grazie anche alla fotografia di Tommaso Borgstrom), che non quando si inerpica, brevemente per fortuna, lungo la strada di un vero e proprio cinema di denuncia. Ma il finale, con quello scambio di sguardi “a distanza ravvicinata” tra i due protagonisti, è da brividi lungo la schiena e lacrime agli occhi, e non si dimentica facilmente. Brevi ma decisivi i contributi di Valeria Golino (imbruttitasi per l’occasione con baffi e ciglia pronunciate) e Fabrizio Gifuni, ormai garanzie certificate del nostro cinema, mentre Luisa Ranieri finalmente convince dopo aver “recitato” col peggior Antonioni (Eros). Davvero tanti complimenti ai selezionatori della mostra del cinema di Venezia, che hanno scelto per il concorso un film(accio) come La solitudine dei numeri primi, relegando il bel film di Capuano fuori concorso nelle Giornate degli Autori. E poi ci lamentiamo anche che l’Italia non vince mai nulla. Mah.

L'amore buio