mercoledì 29 settembre 2010

Un affare di donne

di Claude Chabrol

Une affaire de femmes, Francia 1988, drammatico, 108'. Con Isabelle Huppert, François Cluzet, Nils Tavernier, Marie Trintignant, Aurore Gauvin, Nicolas Foutrier.

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Locandina originale

Film come Un affare di donne andrebbero fatti vedere obbligatoriamente a tutti coloro che, ancora oggi, si oppongono all’aborto legalizzato, dimenticando che in un passato per niente remoto abortire per una donna significava rischiare la propria vita ed incappare in cinici sfruttatori. Claude Chabrol racconta qui una storia vera, quella di Marie, trentenne, madre di famiglia durante l’occupazione della Francia da parte dei tedeschi, che aiuta per solidarietà una sua vicina a liberarsi di un “fardello” non desiderato e da lì in poi inizia a praticare aborti clandestini per dare a sé e ai suoi bambini una vita migliore. Durante la guerra, infatti, le ragioni per abortire non mancano: i mariti sono prigionieri e le donne hanno relazioni fugaci con l’occupante. Quando il marito di Marie ritorna, lei ha per lui una vera e propria repulsa, si rifiuta di avere qualsiasi tipo di contatto fisico. Inizia ad avere un amante, ad affittare camere a prostitute, a prendere lezioni di canto (il suo sogno è diventare cantante), sarebbe disposta addirittura a pagare la cameriera per andare a letto col marito pur di fare contento anche lui. Che però la denuncia, roso dalla gelosia. La faccenda passa quindi sotto l’esame del tribunale speciale di Parigi, che deve “dare l’esempio”: lo Stato sconfitto dai tedeschi vuole mostrare pugno di ferro nella difesa della moralità pubblica. Viene pertanto condannata a morte e ghigliottinata il 31 luglio del 1943. Chabrol dissemina il racconto di segnali premonitori inquietanti (il figlio che dice di voler fare il boia da grande, l’oca decapitata alla festa paesana) e, nonostante il film non si elevi mai al di sopra di un certo livello e la conclusione arrivi forse un po’ repentina, riesce comunque nell’impresa più ardua e importante. Quella cioè di non prendere — giustamente — alcuna posizione estrema relativamente alla protagonista, che non è un’eroina o una martire (memorabile la preghiera blasfema alla Madonna prima dell’esecuzione), ma nemmeno una criminale. Non è certo un personaggio simpatico: inizia facendo un “favore” alla vicina e poi si fa prendere dall’avidità; quando ormai ha già raggiunto un livello di vita più che accettabile, pensa ancora a come poter aumentare le sue entrate affittando uno stanzino. Pertanto, più che per gli aborti illegali, per il favoreggiamento della prostituzione, per il collaborazionismo con i nazisti, ai nostri occhi Marie è un personaggio abietto per l’inesauribile avidità che la contraddistingue; per il cieco disprezzo che prova nei confronti della sincera umanità del marito; per il suo cinico egocentrismo, che la spinge a costruire la felicità propria sul dolore altrui; per il suo voler mantenere fuori dalla propria vita tutto ciò non la riguardi direttamente e possa servire a migliorare lo stato economico suo e dei figli. Quando apprende della morte di una delle sue “pazienti”, non esita ad accettare comunque il compenso a posteriori e non indugia un attimo circa il proseguimento della sua attività. È questo ciò che rende il personaggio di Isabelle Huppert — premiata al festival di Venezia — abietto e malvagio molto più intimamente che non socialmente, esattamente com’è nello stile di Claude Chabrol.

Un affare di donne