di Jacques Audiard
De battre mon coeur s'est arrêté, Francia 2005, drammatico, 107'. Con Romain Duris, Niels Arestrup, Emmanuelle Devos, Jonathan Zaccaï, Aure Atika, Linh Dan Pham, Gilles Cohen.
I personaggi di Jacques Audiard sono prevalentemente maschili e sono tutti legati da un sottile filo conduttore: dovendo fare i conti con la realtà in cui (soprav)vivono, si trovano costretti a sporcare di sangue le loro mani. Come Thomas, che caccia a suon di spranga gli squatter che occupano clandestinamente gli immobili di cui si occupa, ma che allo stesso tempo sogna segretamente di diventare un pianista di talento, come la madre morta. Quando incontra quello che era il vecchio impresario di lei, questo gli propone un’audizione e per prepararsi Thomas prende lezioni da un’implacabile cinesina che non parla la sua lingua e che spiccica giusto due o tre parole in inglese. Rimette le mani sul pianoforte, quelle mani piene di lividi che, sulle orme del padre, usa per picchiare la gente. Il bellissimo titolo originale, De battre mon coeur s'est arrêté, pressappoco significa “Il mio cuore ha smesso di battere”. Già, il cuore di Thomas ha smesso di battere nel momento stesso in cui si è adattato alla vita che il padre gli ha imposto e che si è auto-imposto, rinunciando ai suoi veri sogni e desideri. Audiard come al solito ha il merito di non spiegare nulla, limitandosi a mostrare e facendo in modo che sia lo spettatore a dover cogliere quello che la trama nasconde in sottotraccia. Come nel precedente Sulle mie labbra, riprende il discorso sull’incomunicabilità attraverso le lezioni di pianoforte in cui allievo e insegnante dialogano quasi esclusivamente attraverso il linguaggio della musica. Al pianoforte, lui sfoga tutta la violenza che accumula durante le sue “spedizioni”, ma soprattutto tutta la rabbia repressa che ha dentro di sé. La notte prima del provino al pianoforte, i suoi colleghi arrivano a casa sua e gli impediscono di dormire perché hanno bisogno di lui per sbrigare certi “affari”. I suoi colleghi e suo padre ovviamente sono molto ironici circa la sua ambizione di diventare pianista. Riescono a distruggere ancora una volta le sue ambizioni e i suoi sogni: la sua esibizione è un vero disastro. Il finale, con quella postilla “due anni dopo”, potrebbe sembrare lieto, ma non lo è: la vendetta nei confronti dell’assassino del padre è stata consumata, le mani di Thomas sono di nuovo impregnate di sangue, ed il suo posto non è sul palco, bensì in platea, spettatore come tanti. Più che di una vittoria, si tratta di un’altra sconfitta: ormai è troppo tardi per rincorrere la propria passione. Romain Duris (vero e proprio sex-symbol in Francia) è il bellissimo e bravissimo protagonista, mentre nel resto del cast spicca soprattutto il padre di Niels Arestrup (che ritroveremo nel successivo Il profeta). Coadiuvato da collaboratori di prim’ordine, a partire dalla fotografia di Stéphane Fontaine e dalla musica di Alexandre Desplat, il regista — qui al suo quarto film, ma solo il secondo ad essere distribuito in Italia — ha ormai trovato una propria poetica personalissima e inimitabile, tanto che si stenta a credere che Tutti i battiti del mio cuore sia in realtà il remake di Rapsodia per un killer (1978) con Harvey Keitel: Audiard si è dimostrato in grado di assorbire e rielaborare (insieme a Tonino Benacquista) il film d’origine di James Toback, facendolo completamente suo in un modo che è proprio unicamente dei veri autori.