di Ron Howard
The Da Vinci Code, USA 2006, thriller, 149'/174'. Con Tom Hanks, Audrey Tautou, Ian McKellen, Alfred Molina, Paul Bettany, Jean Reno, Jürgen Prochnow, Jean-Yves Berteloot, Etienne Chicot, Jean-Pierre Marielle, Marie-Françoise Audollent.
Il codice da Vinci è ciò che si dice un film palloso. Fiacco (compresa la colonna sonora di Hans Zimmer), buio — se l’obiettivo era creare un alone di mistero, non è stato raggiunto — e con attori decisamente fuori parte (Tautou), quando non addirittura impegnati in parti ridicole (Bettany) o da telefilm e dintorni (Hanks e Reno). L’anziano curatore del Museo del Louvre di Parigi, Jacques Saunière, viene ritrovato morto nella Grande Galleria del museo, nudo e disposto per terra come l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, nonché coperto di simboli da lui stesso tracciati con il suo sangue. Inizia così per Robert Langdon, professore di simbologia religiosa presso l’Università di Harvard, un viaggio alla scoperta di un grande mistero dell’umanità: il Santo Graal. Accompagnato da Sophie Neveu, nipote del curatore ucciso, dovrà ripercorrere indizi nascosti nelle più affascinanti opere d’arte spostandosi da Parigi a Londra. La chiave del mistero fu custodita per secoli dal Priorato di Sion e dai cavalieri Templari: si tratta di un segreto che potrebbe compromettere i fondamenti del Cristianesimo, ed in particolare quelli della dottrina professata dalla Chiesa Cattolica. Tratto dal best-seller di Dan Brown, il film è stato alla sua uscita un vero e proprio caso commerciale, accompagnato da una massiccia campagna di marketing, anche se gli incassi sono risultati, alla fin fine, al di sotto delle aspettative. Sia il libro che il film sono stati oggetto di critiche da parte di molti studiosi, specialmente nel mondo cattolico, in merito all’attendibilità storica, dal momento che, pur essendo Il codice da Vinci un’opera di fantasia, Dan Brown ha dichiarato che il suo romanzo si presenta come una ricostruzione fedele degli eventi storici in esso narrati (riassunti brevemente nel film con rapidi flashback virati): il che ha rinfocolato ovviamente il dibattito sull’attendibilità delle verità contenute nei vangeli apocrifi, soprattutto con riferimento alla tesi in base alla quale Gesù avrebbe sposato Maria Maddalena e avuto da lei dei figli, tesi di cui non esiste documentazione alcuna nel Nuovo Testamento e nelle altre fonti storiche. Al di là di tutto ciò, i motivi per cui Il codice da Vinci non funziona sono comunque, come detto, esclusivamente cinematografici: i due protagonisti decodificano anagrammi e cryptex come in una specie di videogioco, risolvono enigmi a ripetizione, procedono di tappa in tappa in una sorta di road-movie che finisce per ricordare, a sua volta, una specie di gioco dell’oca. Qualche idea affascinante ci sarebbe anche, ma in generale l’azione latita e le parentesi storico-esplicative appesantiscono il film (anche se il personaggio di Ian McKellen, anche grazie alla bravura dell’attore, è l’unico parzialmente riuscito). Come se non bastasse, le scene che pencolano nel ridicolo involontario non si contano, e il finale è alquanto stucchevole nella sua inverosimiglianza. In verità, bisogna dire che ad un blockbuster non si chiederebbe poi molto: ci si accontenterebbe che almeno non facesse dormire. Ma il peggio è che Il codice da Vinci non è solo un blockbuster (125 miliori di dollari, di cui 6 per i diritti del romanzo ed 1 per l’affitto del museo del Louvre), è anche un thriller. E ad un thriller si richiede che sia un minimo avvincente, mentre questo, appunto, fa dormire.