di Giulio Manfredonia
Italia 2011, commedia, 96'. Con Antonio Albanese, Sergio Rubini, Lorenza Indovina, Nicola Rignanese, Davide Giordano, Salvatore Cantalupo, Luigi Maria Burruano.
Che dilatato in un film di un’ora e mezza il geniale e purtroppo attualissimo sketch televisivo di Albanese non avrebbe potuto conservare intatta la sua genialità, era evidente fin dapprincipio. Che costruire una storia, per quanto poco elaborata, intorno al personaggio di Cetto La Qualunque avrebbe significato renderlo meno macchiettistico e di conseguenza cancellare gran parte della sua vis comica, anche. Che il successo del film sarebbe dipeso in gran parte dai personaggi secondari, era ancora più chiaro. Ecco, partiamo proprio da qui: la bravissima Lorenza Indovina (Un amore, Almost Blue), quasi irriconoscibile, si regala generosamente, entusiasticamente — e un po’ masochisticamente — in un’interpretazione comica (la moglie di Cetto) per lei insolita e forse proprio per questo sufficientemente divertente. Mentre il personaggio di Sergio Rubini (Gennaro Salerno detto Gerry, ovvero il consulente di immagine di Cetto) è molto più infelice, tanto che considerarlo “comico” è quasi del tutto fuori luogo. Il figlio di Cetto infine, interpretato da Davide Giordano, è a metà strada tra la figlia di Fantozzi e il figlio di uno dei tanti logorroici di verdoniana memoria, e sa un po’ troppo di già visto. Dopo una lunga latitanza all’estero, lo sgrammaticato imprenditore Cetto La Qualunque torna in Italia con la sua nuova famiglia: una ragazza brasiliana e una bambina di cui non riesce mai a ricordare il nome. Ritrovata la moglie Carmen e il figlio Melo, Cetto dovrà difendere le sue proprietà minacciate da un’ondata di legalità e dalla possibilità che il suo avversario De Santis possa vincere le elezioni. Spinto dai compaesani del circolo della caccia, Cetto deciderà quindi di entrare in politica e candidarsi a sindaco per “salvare” la città. Cetto La Qualunque è un politico che, come qualcuno, elegge spavaldamente l’illegalità a valore morale e che è orgoglioso della propria ignoranza. Come qualcuno, utilizza lo stesso linguaggio volgare di chi lo vota per far presa sul suo elettorato. E come qualcuno, ha un rapporto contrastato con la propria virilità e con le donne: sente la necessità di rimarcare la prima in ogni momento (il che in genere è chiaro sintomo di impotenza) e considera le seconde un vero e proprio oggetto di cui fare uso quando si vuole. Il genio di Albanese è stato quello di fare satira senza — al contrario di tanti altri — additare esplicitamente il suo bersaglio. Per cui, ridiamo del suo personaggio che ribalta ogni verità a suo comodo e che sa vincere esaltando i suoi valori distorti, proprio mentre c’è chi fa lo stesso, amplificato di almeno cento volte, nella realtà. Per conservare fino in fondo il parallelo con l’attualità politica italiana, gli sceneggiatori hanno pensato bene di materializzare l’avversario De Santis come un politico dall’apparenza così sfigata e dai modi così svogliati che viene quasi d’istinto preferirgli Cetto. Ma oltre a questa radiografia dello stato delle cose nel nostro Paese, cosa offre Qualunquemente? Le gag non ereditate dagli sketch televisivi raramente divertono davvero (la scena più bella è forse quella della richiesta della ricevuta fiscale che lascia l’intero paesino a bocca aperta…) mentre risultano, più spesso, assai telefonate, quando non addirittura ripetitive. Resta l’indubbia bravura di un comico come Albanese, che appare comunque vistosamente non a suo agio nel dover aderire a un copione e doversi conseguentemente tenere “a freno”. E resta, soprattutto, il piacere di ridere di qualcosa per cui sarebbe più appropriato, in realtà, piangere.