domenica 3 ottobre 2010

La pecora nera

di Ascanio Celestini

Italia 2010, commedia, 93'. Con Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Maya Sansa, Luisa De Santis, Barbara Valmorin, Nicola Rignanese, Luigi Fedele, Alessia Berardi, Alessandro Marverti, Mauro Marchetti.

❋❋½

Locandina

Ad Ascanio Celestini bisogna riconoscere il merito di aver girato un film abbastanza inconsueto per l’attuale panorama cinematografico italiano. Una commedia che non lascia fuori campo il dramma, il dolore, l’infelicità, ma che li affronta in background senza nasconderli ed anzi facendone il perno della comicità strampalata del film. La parte più felice è la prima, in cui vediamo Nicola bambino nei “favolosi anni ‘60” alle prese con i suoi problemi a scuola, con la nonna contadina e con il padre ed i fratelli che lo maltrattano, mentre la madre è stata rinchiusa in manicomio per problemi psichiatrici. L’infanzia di Nicola, che ben presto verrà considerato pazzo e dovrà inventarsi un amico che in realtà non esiste per far fronte alla sua solitudine, è descritta nel film attraverso un immaginario divertente e personalissimo, commentato dalla voce fuori campo di Celestini che, in questa prima parte, non è mai pesante o eccessiva; bellissima, in particolare, la scena dei ragni con Nicola e Marinella bambini. Purtroppo poi però La pecora nera prende una strada più consueta, si rinchiude per metà in un manicomio retto da suore che fa tanto Bellocchio (non a caso suo figlio Pier Giorgio appare in un cameo e la fotografia è di Daniele Ciprì, collaboratore del regista piacentino in Vincere) e per metà in un supermercato dove Nicola, andando a fare la spesa con la suora, rincontra Marinella che promuove il caffè. Il senso, probabilmente, vorrebbe essere un elogio del “matto”, della pecora nera, della non-normalità: un proposito lodevole ma che non trova mai una vera espressione o riscontro nel film. I personaggi — soprattutto quelli di contorno — sono ben abbozzati, il cast è decisamente azzeccato, molte scene sono divertenti e originali, ma la sceneggiatura (di Celestini, Ugo Chiti e Wilma Labate, dall’omonimo libro e spettacolo teatrale di Celestini) s’incarta davvero troppo in una ripetitività che, accentuata ancora di più dalla voce-off, finisce con l’appesantire inutilmente la visione e con l’allentare inevitabilmente i tempi comici. E soprattutto si avvita su se stessa senza avere il coraggio di prendere una direzione precisa, ma accontentandosi di descrivere vagamente uno straniamento esistenziale che è davvero troppo personale per permettere un qualsiasi tipo di immedesimazione. Arrivando alla fine ad una conclusione che francamente lascia l’amaro in bocca per quello che il film avrebbe potuto essere. Bellissima in ogni caso, una volta tanto, la locandina.

La pecora nera