di David Lynch
Lost Highway, USA / Francia 1997, noir, 134'. Con Bill Pullman, Patricia Arquette, Balthazar Getty, Robert Blake, Robert Loggia, Natasha Gregson Wagner, Richard Pryor, Lucy Butler, Michael Massee, Jack Nance, Jack Kehler, Henry Rollins, Giovanni Ribisi, Scott Coffey, Gary Busey.
Ci sono almeno due modi di approcciarsi al cinema di David Lynch. Il primo è cercare di ricostruire le sue storie frantumate in mille pezzi, mettendo assieme i tasselli di puzzle affascinanti: la struttura narrativa di film come Strade perdute e Mulholland Drive è stata spesso associata al nastro di Möbius, nel quale esiste un solo lato e un solo bordo, in modo tale che dopo aver percorso un giro sulla sua superficie ci si ritrova dalla parte opposta. Il secondo è quello di rinunciare, almeno durante la visione, a uno sforzo così cerebrale per farsi guidare ciecamente dal regista all’interno dei suoi mondi. Nonostante le numerose interpretazioni reperibili su Internet e la ricca bibliografia dedicata alle sue opere, personalmente preferiamo decisamente la seconda modalità per almeno due motivi. Innanzitutto, riteniamo che Lynch sia uno dei più grandi registi di tutta la storia del cinema. Ciò significa in particolare che la nostra fiducia nei suoi confronti è totale e che le accuse che gli vengono rivolte spesso da alcuni, di divertirsi cinicamente a “prendere in giro” lo spettatore, ci lasciano totalmente indifferenti. In secondo luogo, pensiamo che cercare di ridare un senso compiuto a un film di Lynch sia un po’ come voler ricostruire i pezzi che compongono un quadro di Picasso: ammesso e non concesso che un simile lavoro di ricostruzione sia possibile, in ogni caso nel momento stesso in cui sarà stato portato a termine, gran parte del fascino dell’opera sarà svanito. Strade perdute è uno dei film più oscuri di David Lynch, intendendo per “oscuro” sia buio che indecifrabile. C’è un’immagine ricorrente nel cinema del regista e che qui addirittura apre il film su I’m Deranged di David Bowie: quella di una strada priva di illuminazione che viene percorsa in auto, di notte, con i fari che riescono ad illuminare solo a pochi metri di distanza. Il sassofonista Fred Madison e sua moglie Renee iniziano a ricevere dei pacchi con delle videocassette che mostrano prima la loro villa dall’esterno, poi anche all’interno, fino a riprenderli nell’intimità e fino a rivelare l’omicidio di Renee da parte di Fred, che finisce quindi in carcere. Qui però un giorno le guardie trovano al suo posto, nella sua cella, il giovane meccanico Pete Dayton. Strade perdute è anche, probabilmente molto più di qualsiasi altra opera di Lynch, un film da prendere o lasciare: l’illusione di trama (l’inizio con le videocassette potrebbe appartenere ad un qualsiasi horrorino hollywoodiano) viene disattesa ben presto da un geniale colpo di scena che arriva a scardinare addirittura una delle poche certezze di ogni narrazione, l’identità del protagonista. Per questo suo audace tornante narrativo, Strade perdute rischia di irritare lo spettatore molto più di Mulholland Drive (2001) o INLAND EMPIRE (2006), che in fondo al confronto risultano molto più lineari e finanche prevedibili nella loro non-linearità (in particolar modo il secondo). Tuttavia, chi decide di prendere e non lasciare potrà apprezzare la consueta capacità visionaria di Lynch di dare corpo ad incubi perfettamente reali e tranquilli; la dirompente sensualità e bravura della femme fatale Patricia Arquette, in doppia versione mora e bionda; il sempre elaboratissimo ed efficace sound design, curato come al solito dallo stesso Lynch; il fascino ambiguo e inquietante del famoso “uomo misterioso”, interpretato da Robert Blake; la grandiosa e aggressiva colonna sonora di Angelo Badalamenti, che include brani originali di Trent Reznor, Danny Lohner e Marilyn Manson (che appare nella parte finale del film durante la proiezione di un film pornografico). La sceneggiatura scritta da Lynch insieme a Barry Gifford, autore del romanzo da cui era tratto Cuore selvaggio, parte dalle teorie di Sigmund Freud sulle componenti dell’inconscio e della coscienza (Es, Io, Super-Io) per cercare di scavare a fondo nell’animo umano alla ricerca di terribili verità nascoste. Ma anche senza conoscere a fondo le teorie freudiane, dalla visione di Strade perdute emerge un senso di negazione del sé e degli avvenimenti negativi del proprio passato che suona senz’altro familiare e reale. Come dice Fred ad un certo punto nel film: «Preferisco ricordare le cose a modo mio… Come le ricordo io, non necessariamente come sono avvenute».