domenica 19 dicembre 2010

Tenebre

di Dario Argento

Italia 1982, thriller, 99'. Con Anthony Franciosa, Daria Nicolodi, Giuliano Gemma, John Saxon, Lara Wendel, John Steiner, Veronica Lario, Ania Pieroni, Mirella D’Angelo, Eva Robins, Carola Stagnaro, Christian Borromeo, Enio Girolami, Marino Masé, Michele Soavi.

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Locandina

Dopo due horror soprannaturali quasi completamente calati nell’oscurità come Suspiria e Inferno, Dario Argento torna al thriller e alla luce del sole con un film intitolato, molto provocatoriamente, Tenebre. Mai come in questo caso, infatti, tutto — efferati delitti e traumi non rimossi del passato — avviene in pieno giorno: sintomatica, in tal senso, la scena dell’omicidio di John Saxon in una piazza assolata e affollata di passanti, probabilmente il culmine di un film con il quale Argento ritorna non solo, come detto, al thriller e alla luce del giorno ma, non secondariamente, alla modernità. Tenebre è infatti ambientato in uno dei quartieri più futuristici di Roma, quell’EUR che già Michelangelo Antonioni aveva scelto vent’anni prima per ambientarvi L’eclisse, storia di un mondo freddo e disumanizzante in cui i sentimenti si sfaldano come neve al sole e l’uomo viene ridotto a niente più di un mero oggetto. Argento ovviamente è — almeno apparentemente — lontano anni luce da Antonioni, a partire dal suo rapporto con il giallo, che il regista ferrarese utilizza, al contrario di lui, come puro pretesto ribaltandone gli stereotipi (il famoso “giallo alla rovescia”). Eppure, in Tenebre, gli ambienti sono perennemente immobili e fuori della dimensione naturale del tempo, proprio come in un film di Antonioni, inoltre l’ossessivo indugio sul bianco come colore di morte non può non ricordare Professione: reporter — che con Tenebre condivide anche il direttore della fotografia Luciano Tovoli, impegnato qui in un altro memorabile piano-sequenza, quello dentro e fuori l’appartamento delle due lesbiche, che venne girato utilizzando la Louma, una gru snodata a cui è fissata una macchina da presa munita di controllo a distanza. In Tenebre i colpi di scena circa l’identità dell’assassino non mancano (anzi), ma in realtà ad Argento interessa molto di più iniziare quel discorso sulla diversità che verrà affinato poi nel successivo Phenomena, dando contemporaneamente sfogo al suo tipico tocco grandguignolesco grazie ad un intreccio che rinuncia felicemente a tutte quelle spiegazioni che in futuro affliggeranno il suo cinema: in particolare, gli eventi che riguardano il passato (sempre molto tormentato) dei vari personaggi sono appena accennati e le inquadrature si susseguono in un flusso che fa spesso volentieri a meno di ogni logica. Peter Neal è uno scrittore americano di gialli che giunge a Roma per promuovere la sua ultima fatica letteraria, “Tenebrae”. Qui ha però inizio una serie di omicidi che, per la loro modalità, si collegano al suo romanzo: Neal stesso inizia ben presto a ricevere messaggi telefonici ed epistolari dal misterioso maniaco. Argento dichiarò che l’idea per il film gli era nata da uno spiacevole inconveniente accadutogli nel 1980, quando venne molestato ripetutamente da un fan ossessivo che gli telefonava di continuo ed arrivò addirittura a minacciare di ucciderlo. L’obiettivo dell’assassino di Tenebre è punire ed eliminare quella che socialmente, sulla base di un’educazione cattolica, viene considerata devianza e perversione (una cleptomane e due lesbiche sono tra le prime vittime del maniaco), scatenando un perverso piacere liberatorio, quasi sessuale, che è la pulsione alla base di tutto il cinema argentiano: il cui obiettivo non è mai stato certo quello di spaventare lo spettatore ma, semmai, di giocare con le sue pulsioni più nascoste. Spingendolo innanzitutto, in questo caso, a provare attrazione per una donna che in realtà è un uomo (la ragazza scostumata del flashback è interpretata dal transessuale Eva Robins, all’anagrafe Roberto Coatti) e a mettere così in crisi il concetto stesso di “perversione”; nonché a provare — come al solito — un piacere intenso in una identificazione totale con l’assassino. Se infatti, per l’assassino di Tenebre, l’unico mezzo in grado di spazzare via ogni ansia e paura e di fargli assaporare la libertà è l’omicidio, parallelamente per il cinefilo l’unico luogo in cui ogni libertà sia concessa (compresa quella di poter essere, per due ore, un sadico e perverso assassino) resta, sempre e comunque, la finzione cinematografica. Tenebre non è il miglior film di Dario Argento: la sceneggiatura è, come sempre (e come anche per Antonioni, appunto), il suo punto più debole, inoltre non tutti gli attori sono ben azzeccati come Eva Robins e Veronica Lario, che appaiono brevemente ma lasciano il segno (celebre in particolare la scena del braccio mozzato della Lario, fatta eliminare da Berlusconi nei passaggi televisivi). Nonostante i suoi limiti, tuttavia, Tenebre è l’ennesima dimostrazione del (passato) talento visionario del regista e resta un film che, da suoi fan accaniti, non ci stancheremo mai di rivedere.

Tenebre