di David Lynch
Eraserhead, USA 1976, grottesco, 89', b/n. Con Jack Nance, Charlotte Stewart, Allen Joseph, Jeanne Bates, Judith Anna Roberts, Laurel Near.
Il primo film di David Lynch non sfigura rispetto alle opere della maturità e ne riassume anzi in nuce tutta la poetica. La trama è già impossibile da raccontare e, pur presentando vari elementi provenienti da generi diversi come fantascienza, horror, fantastico, risulta arduo incasellare il film in una definizione, tanto è profondamente personale. Vedendo Eraserhead si ha davvero l’impressione di assistere alla nascita di un genio, oltre ad avere l’occasione di rinvenire vere e proprie tracce delle opere successive: dal pavimento a zig-zag di Twin Peaks, al teatrino di Mulholland Drive, alle lampade a luce intermittente che sono una costante del suo cinema (la luce a volte si accende, a volte si spegne di colpo, nella vita di ognuno di noi). A parte la camera da letto in cui si svolge gran parte del film, l’universo esterno di Eraserhead è immerso in uno scenario paradossalmente reale che soffoca il suo protagonista: i paesaggi nei quali si muove all’inizio del film sono paesaggi industriali squallidi e disumanizzanti che potrebbero essere quelli di un film di Antonioni rigirato da una mente perversa. A livello formale, Lynch dimostra già tutte le sue doti di grande regista: il film è girato in uno splendido bianco e nero, il sonoro — che sarà sempre centrale nelle sue pellicole — è già estremamente elaborato e permette allo spettatore di andare oltre le immagini rendendole perennemente inquietanti e angoscianti, le situazioni sono sempre al limite estremo dell’onirico più assurdo ed alcuni personaggi davvero memorabili (la ragazza del termosifone che canta della felicità in paradiso). Detto questo, quello che probabilmente ancora gli manca in questo primo film è l’ingenuità (la semplicità) e il sentimento, quelli che dimostrerà già con il film successivo The Elephant Man: qui invece tutto è perfetto e studiatissimo (del resto questo film impegnò ben quattro anni della vita del regista), tutto è estremamente surreale e non sembra avere alcun senso, tanto da ricordare da vicino più le ultime opere del regista (INLAND EMPIRE in particolare) che non film come Velluto blu o Cuore selvaggio, che personalmente preferiamo proprio per quella loro ingenuità che li rende molto meno cerebrali e quindi, a nostro avviso, molto più autentici. Mentre vedendolo oggi alla luce dei film successivi, Eraserhead potrebbe rischiare quasi di sembrare (paradossalmente) un po’ di maniera. Ma questi sono gusti personali e appunto paradossi, al di là dei quali Eraserhead resta un vero e proprio cult-movie, nonché uno dei film in assoluto più bizzarri della storia del cinema.