di Jacques Audiard
Sur mes lèvres, Francia 2001, thriller, 115'. Con Emmanuelle Devos, Vincent Cassel, Olivier Gourmet, Olivier Perrier, Olivia Bonamy, Bernard Alane, Céline Samie, Pierre Diot, François Loriquet, Serge Boutleroff.
Carla fa la segretaria in un’agenzia immobiliare. Ha trentacinque anni e segue dall’inizio alla fine tutte le pratiche per uno stipendio da fame e una riconoscenza ancor più misera. Carla soffre di un handicap: ha un deficit uditivo e porta delle protesi, in compenso sa leggere le labbra. Ormai non ne può più della continua derisione dei suoi colleghi e quando le viene offerto di scegliersi un collaboratore per aiutarla nel lavoro, fa assumere il venticinquenne Paul Angeli, che è appena uscito di prigione e non sa nulla di immobili. Jacques Audiard gira un thriller avvincente che è anche, in sordina, una bellissima storia d’amore. In fondo Carla è una diversa e una disadattata (le due cose non sempre coincidono) che sa leggere le labbra altrui al contrario di tutte le persone che la circondano, che non sono minimamente in grado di leggere le sue e di capirla. Poi arriva Paul, che sembra diverso e che effettivamente diverso è — avendo passato gli ultimi due anni in carcere. Lei ne è attratta probabilmente per come un ex-carcerato possa dimostrarsi a sorpresa molto più gentile e comprensivo di un collega di lavoro: il confronto carcere-vita affascinava Audiard già da questo suo terzo film (il primo ad essere distribuito in Italia). L’attrazione tra i due rimane però ambigua, lei si serve di lui per vendicarsi di un suo collega, dopodiché lui sfrutterà la sua abilità nel leggere le labbra per mettere a segno un colpo importante: le dinamiche sociali di vicendevole sfruttamento sono, non a caso, esattamente le stesse dell’ultimo Il profeta ed anche qui non è certo Carla a “rieducare” Paul, semmai il contrario. Al di là del ribaltamento dell’handicap (che per la protagonista costituisce una vera e propria marcia in più rispetto alle persone “normali”), il vero colpo di genio di Audiard sta nell’essere stato in grado di sfruttarlo per mettere in scena l’incomunicabilità nei rapporti amorosi (e non solo): esattamente come nell’interpretazione fassbinderiana di Come le foglie al vento — dove i personaggi “buoni” e normali erano in realtà totalmente insensibili e sordi rispetto all’amore che i personaggi “cattivi” e anormali sapevano provare nei loro confronti — allo stesso modo in questo film i veri sordi sono gli altri (compreso Paul, almeno fino a un certo punto) e non certo la protagonista. La grandezza della regia di Audiard sta però nel non far pesare per niente i suoi contenuti e forse proprio per questo molti hanno scambiato il suo film per un thriller di media fattura, cosa che effettivamente è se ci si ferma all’intreccio, che in sé del resto non manca certo di buchi e cadute (le scene con Carla davanti allo specchio). Ma lo sguardo di Audiard è in realtà unico e costituisce una delle poche certezze del panorama cinematografico contemporaneo, avvalendosi qui degli essenziali contributi dei due bravissimi attori protagonisti, del direttore della fotografia Mathieu Vadepied e di un uso del sonoro (vincitore di un César insieme a quelli per la sceneggiatura e per Emmanuelle Devos) particolarmente elaborato, oltre che della bella colonna sonora del sempre bravo Alexandre Desplat. Lasciandoci, alla fine del film, con un’emozione la cui intensità è direttamente proporzionale alla speranza di poter finalmente incrociare anche noi, un giorno, qualcuno che sia in grado di leggere sulle nostre labbra.