di Norman Jewison
Jesus Christ Superstar, USA 1973, musicale, 108'. Con Ted Neeley, Carl Anderson, Yvonne Elliman, Barry Dennen, Bob Bingham, Larry T. Marshall, Joshua Mostel.
Un musical che ha per protagonista Gesù Cristo non è certo una cosa che capita di vedere tutti i giorni. All’inizio del film, un gruppo di hippy sessantottini che sembrano usciti dritti da Zabriskie Point arriva, a bordo di un autobus, nel deserto della Palestina, che a sua volta ricorda da vicino la Death Valley di quel film. Iniziano ad indossare costumi e a truccarsi, quasi come in una sorta di fantasmagorica rivisitazione storica felliniana (ricordate il Fellini-Satyricon?). Mettono quindi in scena un musical sugli ultimi giorni della vita di Gesù, nel quale è centrale la figura di Giuda Iscariota, che viene interpretato da un attore di colore e che rappresenta, in un certo senso, lo “spirito ribelle” dell’epoca. Proprio perché fortemente legato all’epoca in cui venne concepito (prima di tutto come spettacolo teatrale) da Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, Jesus Christ Superstar rischia oggi di risultare irrimediabilmente datato, sia a livello di rielaborazione parzialmente ironica e parodistica del Nuovo Testamento, sia a livello di messinscena (alcune coreografie e costumi, nonché personaggi, appaiono oggi alquanto ridicoli). Bisogna riconoscere però quanto il Gesù rock di questo film sia alla fin fine molto meno manichino e molto più “pulsante” di tante altre trasposizioni cinematografiche: pensiamo ai santini zeffirelliani e, ahinoi, rosselliniani, ma soprattutto al film davvero pornografico di Mel Gibson. La scena nel Getsemani (secondo chi scrive, la migliore del film) basterebbe da sola a dare spessore psicologico al personaggio e a renderlo molto più umano di quanto non faccia chi vuole ridurlo a nient’altro che un martire, con vere e proprie attenzioni da voyeur e con l’unico intento di arricchirsi (chi ha orecchie per intendere, intenda). Se dunque questo Gesù è molto più vivo di tanti altri, non è solo per il ritmo da rock-opera e per il contesto musical semi-parodistico che rende certe stilizzazioni molto più accettabili che altrove (i romani cattivoni come nei fumetti di Asterix & Obelix lo accomunano a La passione di Cristo). È anche e soprattutto per l’idea di un Gesù superstar, da contrapporre al volere oggi quanto mai imperante che lo vorrebbe ridotto a puro simbolo morto, a figurina accomodante e rassicurante, a “tradizione” da preservare al pari del presepe, a un crocifisso di legno da affiggere nelle aule (laiche) delle scuole e dei tribunali: in questo senso, il film è ancora modernissimo e, anzi, forse addirittura più necessario oggi di quanto non lo fosse allora.