di Martin Ritt
Hud, USA 1963, western, 112', b/n. Con Paul Newman, Melvyn Douglas, Patricia Neal, Brandon de Wilde, Whit Bissell, Crahan Denton, John Ashley, Val Avery, George Petrie, Curt Conway, Sheldon Allman, Pitt Herbert, Carl Low, Robert Hinkle, Don Kennedy, Sharyn Hillyer, Yvette Vickers.
Nel grande ranch texano di Homer Bannon, allevatore orgoglioso e all’antica, vivono il figlio trentenne Hud — tipo spregiudicato e ribelle la cui vita è limitata a bere, iniziare risse al bar, girare con la sua Cadillac sportiva rosa ed andare a letto con le donne (sposate o no) — e il nipote diciassettenne ed orfano Lonnie, diviso negli affetti tra i due e dispiaciuto dei contrasti tra di loro. Sia Lonnie che Hud sono attratti in qualche modo da Alma, la governante di mezza età dei Bannon: tanto Hud è crudo e ingiurioso verso di lei, quanto Lonnie è protettivo. La situazione, e in particolare gli scontri tra Hud e l’anziano padre, peggiora ancora di più quando si scopre che, in seguito all’acquisto di alcune mucche provenienti dal Messico, il bestiame del ranch è stato contagiato da un’incurabile malattia infettiva, l’afta epizootica. Hud il selvaggio è un film sottovalutato in Europa, dove la critica lo accolse con molte riserve, e forse un po’ sopravvalutato in America, dove ebbe un grande successo aggiudicandosi tre premi Oscar: per lo splendido bianconero di James Wong Howe, e per le ottime interpretazioni di Melvyn Douglas, nel ruolo del tradizionalista e quasi romantico padre, e della straordinaria Patricia Neal, nel ruolo della disincantata governante Alma; mentre un memorabile Paul Newman ottenne solo la nomination e non l’Oscar che quell’anno andò a Sidney Poitier per I gigli del campo di Ralph Nelson. Come spesso accade, la verità sta nel mezzo: Hud il selvaggio è un grande film, pur senza essere un capolavoro.