martedì 19 luglio 2011

Hud il selvaggio

di Martin Ritt

Hud, USA 1963, western, 112', b/n. Con Paul Newman, Melvyn Douglas, Patricia Neal, Brandon de Wilde, Whit Bissell, Crahan Denton, John Ashley, Val Avery, George Petrie, Curt Conway, Sheldon Allman, Pitt Herbert, Carl Low, Robert Hinkle, Don Kennedy, Sharyn Hillyer, Yvette Vickers.

❋❋❋❋

Locandina italiana

Nel grande ranch texano di Homer Bannon, allevatore orgoglioso e all’antica, vivono il figlio trentenne Hud — tipo spregiudicato e ribelle la cui vita è limitata a bere, iniziare risse al bar, girare con la sua Cadillac sportiva rosa ed andare a letto con le donne (sposate o no) — e il nipote diciassettenne ed orfano Lonnie, diviso negli affetti tra i due e dispiaciuto dei contrasti tra di loro. Sia Lonnie che Hud sono attratti in qualche modo da Alma, la governante di mezza età dei Bannon: tanto Hud è crudo e ingiurioso verso di lei, quanto Lonnie è protettivo. La situazione, e in particolare gli scontri tra Hud e l’anziano padre, peggiora ancora di più quando si scopre che, in seguito all’acquisto di alcune mucche provenienti dal Messico, il bestiame del ranch è stato contagiato da un’incurabile malattia infettiva, l’afta epizootica. Hud il selvaggio è un film sottovalutato in Europa, dove la critica lo accolse con molte riserve, e forse un po’ sopravvalutato in America, dove ebbe un grande successo aggiudicandosi tre premi Oscar: per lo splendido bianconero di James Wong Howe, e per le ottime interpretazioni di Melvyn Douglas, nel ruolo del tradizionalista e quasi romantico padre, e della straordinaria Patricia Neal, nel ruolo della disincantata governante Alma; mentre un memorabile Paul Newman ottenne solo la nomination e non l’Oscar che quell’anno andò a Sidney Poitier per I gigli del campo di Ralph Nelson. Come spesso accade, la verità sta nel mezzo: Hud il selvaggio è un grande film, pur senza essere un capolavoro. Tratto dal romanzo Horseman, Pass By di Larry McMurtry — ben adattato da Harriet Frank Jr. e Irving Ravetch — ed incorniciato in una bella e malinconica colonna sonora di Elmer Bernstein, è un western moderno ed individualista che nasconde una riflessione non scontata su quelle “epidemie” che, più o meno inconsapevolmente, contribuiamo a diffondere, e su quelle scelte che quotidianamente influenzano il destino del “gregge”. Dice ad un certo punto il padre Homer al nipote: «Lonnie, lo capisci che a poco a poco tutto il paese cambia completamente per colpa degli uomini che noi ammiriamo?». È la battuta-chiave del film: siamo noi a decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, ad ammirare certe persone piuttosto che altre, a decidere chi ha centrato la propria vita e chi ha fallito. Nulla è scritto a priori. È un film moralista? No, è un film morale. Hud è un uomo che bada solo al proprio vantaggio infischiandosene degli altri e che proprio per questo motivo esercita grande fascino ed attrazione sulle persone meno vissute, a partire dal nipote Lonnie. Il suo fascino è quello del farabutto strafottente che sembra capace di godersi la vita proprio perché mette sempre se stesso davanti agli altri: che non esistono, se non quando è il momento di usarli per i propri comodi. Hud è un egoista, cinico e arrogante: ogni sua azione, ogni sua decisione è unicamente dettata dal proprio rendiconto personale. Ma — incapace di provare qualsiasi affetto per i propri cari, incapace di rispettare in qualsiasi modo il prossimo, incapace di amare — Hud è sostanzialmente incapace di vivere. E alla fine, dopo aver allontanato una dopo l’altra tutte le persone che gli stanno accanto, l’unica felicità che può restargli è quella di una birra e di una sigaretta, solo, sulla soglia di casa.

Hud il selvaggio