di Jean-Pierre e Luc Dardenne
Le gamin au vélo, Belgio / Francia / Italia 2011, drammatico, 87'. Con Cécile De France, Thomas Doret, Jérémie Rénier, Jérémie Rénier, Fabrizio Rongione, Egon Di Mateo, Olivier Gourmet.
I fratelli Dardenne sono una delle poche certezze nel panorama cinematografico contemporaneo. Il loro è un cinema bressonianamente essenziale nella forma e profondamente neorealista nell’affrontare tematiche sociali con sensibilità individualista. Ai personaggi dei Dardenne non è mai concesso il lusso di fermarsi per riflettere. Calati in un mondo ostile che sembra non avere alcuna pietà nei loro confronti, sono costretti ad agire per fronteggiare l’insensibile durezza della vita, a muoversi con rapidità e sicurezza — senza esitazioni, senza nemmeno quasi prendere respiro — per cercare di sovvertire quello che sembrerebbe essere il loro destino. Il giovane protagonista di Il ragazzo con la bicicletta, bambino più che “ragazzo” come è diventato nella traduzione italiana del titolo (evidente riferimento al neorealismo di Vittorio De Sica), non fa eccezione. Cyril ha quasi dodici anni e una sola idea fissa: ritrovare il padre che lo ha abbandonato, lasciandolo temporaneamente in un centro di accoglienza per l’infanzia. Incontra per caso Samantha, una donna che ha un negozio di parrucchiera e che, qualche giorno dopo, gli riporta la sua bicicletta, che il padre aveva venduto per necessità di denaro. Cyril le chiede se desidera tenerlo con sé durante i fine settimana e Samantha accetta. Accecato dalla rabbia e dai sentimenti di abbandono, il bambino non è però in grado di rendersi conto dell’affetto che Samantha può offrirgli, nonostante ne abbia in realtà un disperato bisogno. Il ragazzo con la bicicletta, Gran Premio della Giuria a Cannes 2011, non è di certo il miglior film dei Dardenne: non mancano talune imperfezioni a livello narrativo e personaggi un po’ stereotipati (lo spacciatore che all’inizio sembra avere buone intenzioni). Ma è un film pieno di momenti emozionanti e sinceri, così come di attimi di serenità che magari da loro non ci si sarebbe aspettati: un abbraccio tanto serrato da fare male (quello di Cyril verso l’“ostaggio” Samantha, nel momento del loro primo incontro); un padre che non ha il coraggio di dire al proprio figlio che ha intenzione di liberarsi di lui come ha già fatto con la sua bicicletta; un déjeuner sur l’herbe tanto semplice e banale da risultare familiare ed estremamente caloroso. Per la prima volta, i registi belgi si affidano ad un’attrice di una certa fama, la brava Cécile De France (vista recentemente in Hereafter di Eastwood), mentre a livello formale si nota una maggiore attenzione nell’uso dei colori e della musica (in genere assente nei loro film). Unici degni eredi di Bresson, i Dardenne continuano — film dopo film — ad essere affascinati perennemente, come i loro personaggi, dal più grande degli inganni, quello del Male come unica risposta possibile verso un mondo ostile; fino a quando non scoprono l’immensa semplicità del Bene. In fondo, Il ragazzo con la bicicletta è tutto qui, nella scoperta da parte del piccolo Cyril di un modo diverso di colmare il suo straripante bisogno d’affetto: non più rincorrendo contro il loro volere le persone che dovrebbero amarlo, o rispondendo al male che gli altri gli causano con altro male, ma imparando ad accettare e apprezzare l’amore assolutamente gratuito che gli arriva da Samantha e a lasciarsi scorrere addosso l’astio e la cattiveria degli altri. In questo modo, il suo correre in bicicletta si trasforma nel corso del film da affannoso correre verso gli altri (il padre che non lo desidera più e che forse non lo ha mai desiderato) in un arrabbiato correre contro gli altri (i ragazzi che gli rubano la bicicletta, l’edicolante che viene aggredito e rapinato, Samantha stessa) e, solo infine, in un sereno correre al fianco di qualcun altro (in una scena di una radiosità e forza visiva sorprendente). È la Grazia cattolicamente intesa — non a caso uno dei leitmotiv del regista di Pickpocket — che i Dardenne mettono in scena ancora una volta con un racconto emozionante, sobrio, accorto agli impercettibili ma sostanziali sommovimenti dell’anima.