sabato 3 settembre 2011

Diavolo in corpo

di Marco Bellocchio

Italia / Francia 1986, drammatico, 114'. Con Maruschka Detmers, Federico Pitzalis, Anita Laurenzi, Alberto Di Stasio, Riccardo De Torrebruna, Catherine Diamant, Anna Orso, Lidia Broccolino, Stefano Abbati, Claudio Botosso.

❋½

Locandina

Diavolo in corpo è un film rimasto famoso (si fa per dire…) per un’unica scena che, dopo avergli causato all’uscita nelle sale il divieto ai minori di 18 anni, essere stata tagliata sistematicamente nei passaggi televisivi ed essere stata oscurata nelle edizioni VHS, è stata solo oggi finalmente ripristinata integralmente in occasione dell’uscita in DVD: si tratta della fellatio che Maruschka Detmers pratica al giovane Federico Pitzalis, che costituisce probabilmente la prima scena di sesso hard non simulato inserita all’interno di un film d’autore. Una performance che, all’epoca, fu in grado di bruciare sul nascere la carriera dell’olandese Detmers, che aveva esordito solo tre anni prima con Godard nel mediocre — nonostante un immeritato Leone d’oro — Prénom Carmen: una sfortuna ancor più grande, quindi, se paragonata a quella di una Maria Schneider, alla quale almeno non toccò certo la beffa di incontrare due grandi registi proprio in occasione di due dei loro peggiori film. Siamo a Roma, dove una pazza di colore, errante sui tetti minacciando il suicidio, attira l’attenzione di una classe di liceo da una parte e di una bella e nevrotica ragazza borghese dall’altra, Giulia, da cui subito è colpito Andrea, uno dei liceali, che scavalca la finestra dell’aula e la insegue col suo motorino. Accompagnata dal giovane prete che poco prima ha cercato goffamente di distogliere la ragazza dal suicidio, Giulia sosta a un punto del ponte sul Tevere dove è caduto il padre, vittima delle Brigate rosse, e si reca poi a un processo contro i brigatisti, prodigando segnali d’intesa e d’affetto a un pentito, cui è promessa sposa. Eccitata dall’amplesso in gabbia di due di essi, incontra lo sguardo di Andrea che l’ha seguita, e subito scoppia fra i due un rapporto morbosamente passionale, che distoglie Giulia dalle nozze col pentito. Una premessa: parlare di un film, come fece molta critica dell’epoca, fissandosi esclusivamente su un pompino è — soprattutto quando si parla di un regista come Bellocchio — oltre che poco professionale e un po’ morboso, sintomatico del moralismo imperante, allora come oggi (più recentemente il medesimo trattamento toccò infatti a Jane Campion e al suo intenso, seppur molto imperfetto, In the Cut). Detto ciò bisogna anche ammettere, da bellocchiani convinti, che Diavolo in corpo non presenta granché altro di cui parlare, trattandosi di un pessimo film a livello contenutistico e poco più che mediocre a livello formale. Innanzitutto, pur essendo presenti sulla carta molte delle tematiche care a Bellocchio (a partire senz’altro da quello della follia e della psichiatria), siamo di fronte a un film che, traendo vaga ispirazione dal romanzo di Raymond Radiguet, è lontano anni luce dal suo mondo: centro della pellicola è infatti una passione sessuale che si vorrebbe dirompente ma che stenta decisamente a vedersi rappresentata adeguatamente sullo schermo, anche per via di un coprotagonista (l’esordiente Pitzalis) decisamente non all’altezza, tanto dal punto di vista recitativo che del physique du rôle. Ancor più grave, manca qualsiasi tipo di feeling tra i due attori protagonisti, il che rende il film assolutamente non credibile e a tratti decisamente ridicolo. E non si tratta certo di un puro caso, dal momento che il regista piacentino ha sempre dimostrato, al contrario del coetaneo Bertolucci, una certa rigidità, quando non addirittura imbarazzo, nelle scene di sesso: come dimostrano del resto anche i lunghi e noiosi incontri carnali tra Ida Dalser e Mussolini all’inizio del recente (e bellissimo) Vincere. Una rigidità e un imbarazzo che però qui — palesi ad esempio nella stessa scena della fellatio — gravano pesantemente sul film, annientando qualsiasi intenzionalità di trasgressione, che per Bellocchio ovviamente fa rima con “rivolta”, con “ribellione”: tutto il film, in fondo, ruota intorno alla figura di questa giovane donna che a poco a poco riscopre se stessa imparando ad andare al di là dei dettami imposti dalla morale borghese. Ma se nell’Ale de I pugni in tasca che spinge giù dal dirupo la madre, o nel giovane Benito Albino Mussolini di Vincere che rovescia nottetempo il busto del padre, c’è tutto Bellocchio e tutta l’istintività tipica del regista, è molto difficile (impossibile) trovare qualcosa di simile in un film come Diavolo in corpo: che comunque, bisogna ricordarlo, segna l’inizio della (infelice) collaborazione del regista con lo psicanalista Massimo Fagioli, collaborazione che proseguirà con i successivi La visione del Sabba, La condanna e Il sogno della farfalla: si tratta, praticamente all’unanimità, della stagione più infelice della sua filmografia. Dialoghi a buon mercato, temi accennati ma mai sviluppati che vagano senza struttura alcuna all’interno del magma del film, simbolismi irritanti nel loro ostentato ermetismo, recitazione sotto il livello di guardia, provocazioni stantie e assolutamente false. All’attivo, le musiche stranianti di Carlo Crivelli, la fotografia di Giuseppe Lanci e un paio di scene (la pazza sul tetto all’inizio del film, il processo). Ma alla fine l’unica cosa che non si dimentica del film è proprio lei, Maruschka Detmers, corpo e presenza cinematograficamente perfetti, mentre il film resta, checché ne dica Bellocchio, uno dei più brutti di un regista che nella sua carriera ha fatto ben altro.

Diavolo in corpo