di Friedrich W. Murnau
Sunrise: A Song of Two Humans, USA 1927, drammatico, 94', b/n. Con George O'Brien, Janet Gaynor, Margaret Livingston.
Il primo film americano di Murnau è stato definito da François Truffaut «il più bel film della storia del cinema» e, nonostante sulle classifiche si possa essere d’accordo o meno (raramente lo si è), difficile è senz’altro negare la bellezza di questo capolavoro del cinema muto, e non solo. Aurora sembra partire come uno dei tanti adulteri con delitto che il cinema avrebbe poi raccontato spesso (per dirne uno, Ossessione di Visconti): l’Uomo si innamora della Donna della Città, e lei allora fantastica l’uccisione della Moglie, per annegamento. Lui esita, anzi quasi strangola l’amante (in una delle scene più famose del film, quella nel canneto), ma alla fine sembrerebbe cedere alla sua idea, decidendo di portare la moglie in gita al lago. A questo punto un colpo di scena fa cambiare improvvisamente tono al film, che coraggiosamente decide di non prendere la strada più prevedibile. Murnau appesantì con dieci chili di piombo le scarpe dell’attore protagonista nella scena sulla barca, quando lui sta per strangolare lei, in modo che assumesse un’aria più minacciosa. La parte centrale del film diviene quindi una specie di sogno amoroso, ambientato nella città vista come una specie di luna-park gioioso e festoso; un sogno che culmina nella scena a mio avviso più bella di tutto il film: il traffico cittadino bloccato dal bacio della coppia. Fino ad arrivare al finale, in cui il sogno per un attimo sembra svanire… ma è l’amore solo un sogno? Ovviamente non solo non è un sogno, per Murnau è una vera e propria aurora. Il regista tiene lo spettatore inchiodato alla poltrona nel raccontare unicamente con le immagini — senza dialoghi e con pochissimi cartelli — le vicende di personaggi così umani e così psicologicamente complessi nonostante le etichette che li identificano: con il ritmo serrato del racconto, con tocchi di umorismo che rendono il film piacevole e leggero, con le meravigliose scenografie ed i raffinati costumi, con lo straordinario utilizzo della profondità di campo (che fece impressione all’epoca e continua a sbalordire ancora oggi), con un bianco e nero ancora oggi più che valido. Aurora, e la sua resistenza nel tempo, testimoniano che cos’è un capolavoro del cinema, e come alla fine degli anni ‘20 del secolo scorso si potesse raccontare una semplice storia d’amore creando una vera e propria esperienza visiva senza ricorrere ai sofisticati mezzi a disposizione oggi dei cineasti; certo, c’era il talento, quello che Murnau aveva e che purtroppo manca alla gran parte degli pseudo-artisti di oggigiorno.