di Abel Ferrara
The Blackout, USA 1997, drammatico, 98'. Con Matthew Modine, Béatrice Dalle, Dennis Hopper, Sarah Lassez, Claudia Schiffer, Steven Bauer, Nancy Ferrara.
Abel Ferrara indaga qui il senso di colpa muovendosi all’interno del mondo del cinema. Il protagonista di Blackout è Matty, un divo del cinema tormentato da dipendenze di natura diversa: c’è la dipendenza da Annie, e poi la dipendenza dall’alcool e dalla cocaina. Quando scopre che Annie ha abortito perché non vuole partorire il figlio di un tossicomane, Matty va su tutte le furie, tronca la relazione e diventa sempre più dipendente dalla droga. In un bar un giorno conosce un’altra Annie, una giovane cameriera, e la conduce ad una festa nel night-club dell'amico Mickey, regista di film porno. Un anno e mezzo dopo, a New York, Matty non beve più e non si droga, vive con Susan che lo ama. Finché non inizia ad essere perseguitato da strane immagini. Blackout è un film stilisticamente elegante (grazie alla fotografia di Ken Kelsch, che alterna momenti di candidi colori chiari a tetri scuri). È sensuale, di una sensualità che la raffinatezza formale insieme alle scene di nudo — che hanno causato al film in Italia un esagerato divieto ai minori di 18 anni — tenderebbe a stemperare ma che è ben alimentata dall’affiatamento degli attori (esemplare la scena del bacio iniziale tra Modine e la Dalle). È anche un film delirante: il blackout del protagonista, l’auto-rimozione del presunto omicidio dalla memoria, è messo in scena dal regista attraverso dissolvenze incrociate, sovraimpressioni e continui flashback e rimandi temporali attraverso i quali diviene impossibile per lo spettatore distinguere tra sogno e realtà, tra passato e presente, tra colpe oggettive e opinabili sensi di colpa. Matty ha ucciso fisicamente Annie oppure ha “ucciso” la loro relazione (insieme al loro bambino) e non riesce a farsene una ragione? E qual è il rapporto tra la prima e la seconda Annie? Blackout ha degli spunti bellissimi: l’amore equiparato ad una dipendenza da alcool o da droga; il mondo patinato del cinema porno che si ferma ai corpi tanto quanto il film di Ferrara si mostra invece interessato a scavare le anime; l’immagine finale di un oceano buio in cui il protagonista si avvia nuotando verso la morte nella speranza di affogare tutta la sua disperazione. Purtroppo, il film è anche parecchio masturbatorio e soprattutto appare un po’ troppo compiaciuto della propria incomprensibilità nell’ultima parte, mentre i personaggi di contorno sono quasi unidimensionali (il porno-videomaker di Dennis Hopper, la fatalona di Béatrice Dalle, la perbenino tutta casa-e-famiglia di Claudia Schiffer). Ma la disperazione del protagonista che — ossessionato dai rimorsi delle sue azioni — si lascia scivolare consapevolmente sempre di più nella voragine di un baratro che lo inghiotte fin dall’inizio, ha qualcosa da insegnarci circa la severità di giudizio che troppo spesso adottiamo con noi stessi.