di Mike Figgis
Leaving Las Vegas, USA 1995, drammatico, 111'. Con Nicolas Cage, Elisabeth Shue, Julian Sands, Richard Lewis, Valeria Golino, R. Lee Ermey, Laurie Metcalf, Mike Figgis, Ed Lauter, Julian Lennon, Bob Rafelson, Vincent Ward.
L’amore è accettazione reciproca. Il film di Mike Figgis impiega quasi due ore per arrivare, didascalicamente, a questa non originale conclusione. In mezzo ci sono le piacevoli interpretazioni dei due protagonisti: quella (premiata con l’Oscar, addirittura) di un Nicolas Cage perennemente sbronzo dalla primissima inquadratura fino alla fine, e quella di una Elisabeth Shue che svende il suo corpo ma non la sua anima. Lui è Ben, un uomo che ha perso tutto, prima la famiglia e poi il suo lavoro di sceneggiatore. Lei è Sera, una prostituta dal cuore d’oro che Ben incontra nella sua folle fuga a Las Vegas, dove ha intenzione di autodistruggersi bevendo fino a morire. Le loro solitudini e disperazioni si incontrano e da questo incontro ha vita un amore profondo che non prevede alcuna via di cambiamento: nessuno dei due desidera che l’altro cambi per sé, ma riesce ad amarlo per quello che è. I due personaggi della sceneggiatura che Mike Figgis ha tratto dall’unico romanzo del suicida John O’Brien sono dei capolavori di stereotipia (lui ubriacone, lei puttana, ma “buoni”), così come tutta una serie di situazioni con le quali si cerca, in malo modo, di conferire un po’ di spessore a character senza passato e quindi altrimenti inconsistenti: ad esempio, la scena in cui Sera viene violentata dai tre ragazzini, oppure il bieco magnaccia interpretato dal sempre inespressivo Julian Sands. Ma purtroppo non basta affogare i propri personaggi in un mondo di violenza e sopraffazione con l’obiettivo di commuovere lo spettatore, se poi tutto ha il sapore di un meccanismo preparato a tavolino per rendere “angeli” quelli che di primo acchito sembrerebbero “demoni”; soprattutto se un tale meccanismo viene immerso in una messinscena furbetta che non fa altro che confermare questo sospetto (per cui, non basta accostare due effetti a caso per fare arte). Quello che quindi salva e rende, alla fine e nonostante tutto, un buon film Via da Las Vegas, non è certo la prevedibile redenzione — attraverso l’amore — di personaggi la cui disperazione suona un po’ falsa. È, semmai, il modo in cui questo amore prende forma e si esprime: al contrario di quanto si potrebbe pensare inizialmente (e di quanto ci si sarebbe potuti aspettare da una sceneggiatura programmatica e furbetta come quella di questo film), non c’è nessuna disperazione nell’amore che ad un certo punto lega Ben e Sera. Non si amano per aggrapparsi a qualcosa e sperare in un possibile cambiamento, loro o del partner, ma si amano, appunto, accettandosi per quello che sono, senza desiderare quindi, né pretendere, alcunché di più dal loro rapporto. È questo lato del film che stupisce e fa riflettere.