di Lisa Cholodenko
The Kids Are All Right, USA 2010, commedia, 106'. Con Julianne Moore, Annette Bening, Mark Ruffalo, Mia Wasikowska, Josh Hutcherson, Yaya DaCosta, Kunal Sharma, Eddie Hassell, Zosia Mamet, Joaquín Garrido, Rebecca Lawrence, Lisa Eisner, Eric Eisner, Sasha Spielberg, James MacDonald, Margo Victor.
La tesi che il film di Lisa Cholodenko vuole sostenere è esplicita sin dal titolo: The Kids Are All Right, i ragazzi sono “apposto”, non è vero che i bambini cresciuti in una famiglia omosessuale — in questo caso, lesbica — saranno necessariamente “diversi” da quelli allevati da genitori eterosessuali, così come non è detto che questi ultimi saranno necessariamente “uguali”. C’è una scena nel film particolarmente divertente e in un certo senso paradossale, quella in cui le due mamme si preoccupano pensando che il loro figlio maschio stia per rivelare loro di essere gay: si tratta, forse, della scena-chiave di tutto il film. Jules e Nic sono una coppia lesbica e madri di due ragazzi concepiti tramite inseminazione artificiale. Quando la figlia maggiore, Joni, compie diciotto anni, il fratello minore Laser la convince a contattare la banca del seme al fine di scoprire chi sia il loro padre biologico. I ragazzi scoprono che si tratta di Paul, un quarantenne ristoratore che vive alla periferia di Los Angeles. Quando Jules e Nic scopriranno l’accaduto, saranno costrette loro malgrado ad introdurre Paul nel loro ménage familiare. La regista — che convive con una donna da quasi dieci anni ed è rimasta incinta tramite inseminazione artificiale poco dopo aver scritto il soggetto del film — sceglie i toni leggeri della commedia per trattare una questione spinosa ed ampiamente dibattuta. Qualcuno ha fatto notare come, per sostenere meglio la tesi del film, il “papà” dei due ragazzi sia rappresentato come un quarantenne donnaiolo e un po’ irresponsabile, anche se in realtà il personaggio interpretato da Mark Ruffalo è tutt’altro che negativo, tanto che la sua introduzione all’interno della famiglia di Jules e Nic finisce per compensare quei limiti che le due donne condividono con qualsiasi altro genitore: in primo luogo, quell’iperprotettività nei confronti dei figli che spinge a non volerli considerare mai cresciuti e ad impedire loro di spiccare liberamente il volo (ricordate Ricky di Ozon?). In questo modo, una famiglia che si sarebbe detta “diversa” finisce per assomigliare in tutto e per tutto, al di là di eccessi e stranezze (i porno gay che le due lesbiche guardano per eccitarsi e che il figlio scopre), ad una “normale” famiglia eterosessuale. Proprio come il film, che parte in modo originale per poi rivelarsi — mano a mano che l’intreccio avanza — sempre più convenzionale, scivolando addirittura nello stereotipo dell’omosessuale destinato a finire a letto con un membro del sesso opposto. Ma sono peccati veniali di un film per il resto divertente, intelligente, auto-ironico e godibilissimo, che ha i suoi punti di forza in una regia ispirata e, soprattutto, in un cast azzeccatissimo: oltre alle bravissime Annette Bening e Julianne Moore — che interpretano due personaggi dagli opposti caratteri, più fredda e monolitica Nic, più calorosa e sfumata Jules — ci sono Mark Ruffalo, che conferma il suo talento per i ruoli non drammatici, e la promettente Mia Wasikowska (già vista nel deludente Alice in Wonderland di Tim Burton).