di Blake Edwards
Breakfast at Tiffany's, USA 1961, commedia, 115'. Con Audrey Hepburn, George Peppard, Patricia Neal, Buddy Ebsen, Martin Balsam, José Luis de Villalonga, John McGiver, Alan Reed, Mickey Rooney.
Questo film non è certo il migliore di Blake Edwards, ma è diventato un vero e proprio classico soprattutto per l’interpretazione di Audrey Hepburn, eletta con il passare del tempo a simbolo di eleganza. All’inizio del film la vediamo mangiare cornetti e caffè davanti alle vetrine di Tiffany e poi camminare per la strada deserta: inquadrature che sono entrate di diritto nell’immaginario collettivo. Holly è una giovane ragazza che per vivere fa la prostituta d’alto bordo e chiama le sue prestazioni “fare la toeletta”. In questo modo riesce a condurre una vita mondana fatta di frequentazioni dell’alta società. Paul è uno scrittore in crisi d’ispirazione che si fa mantenere da una matura signora benestante e che viene a vivere nello stesso palazzo di Holly. I due inevitabilmente si incontrano. Tratto dall’omonimo romanzo di Truman Capote, Colazione da Tiffany ha per protagonisti due personaggi disadattati e apparentemente avidi di denaro che sembrano aver rinunciato all’amore per puro istinto di sopravvivenza. La scena in cui Holly va con Paul da Tiffany e insieme chiedono al commesso cosa possono comprare con un budget di soli dieci dollari, dopodiché decidono di non comprare niente e fare un’incisione su un anello uscito da una scatola di noccioline, oltre ad essere da antologia racchiude quella che è l’essenza del film. La mano di Blake Edwards si vede in particolare in scene come quella della festa, che sembra quasi uscita dal (successivo) Hollywood Party, e nonostante qualche inutile prolissità e qualche personaggio di contorno decisamente stonato (Mickey Rooney che interpreta un condomino giapponese!), il film vola via leggero sulle celebri e bellissime musiche di Henry Mancini, che vinsero un Oscar insieme alla canzone Moon River cantata da una incantevole Audrey Hepburn. Che probabilmente — vestita dallo stilista che lei aveva conosciuto ai tempi di Sabrina, il francese Hubert de Givenchy — non è mai stata così leggiadra come in questo film: maschiaccia e contemporaneamente delicatissima, bizzarra eppure così ragazza della porta accanto, impareggiabile quando chiama il suo gatto “Gatto” e semplicemente sublime quando compie gesti altrimenti normali, come abbassarsi dagli occhi un paio di occhiali da sole. In due parole: unica e inimitabile.