di François Ozon
Le refuge , Francia 2009, drammatico, 88'. Con Isabelle Carré, Louis-Ronan Choisy, Pierre Louis-Calixte, Melvil Poupaud, Claire Vernet, Jean-Pierre Andréani, Marie Rivière, Nicolas Moreau, Emile Berling, Maurice Antoni.
Come nel precedente Ricky di Ozon, anche ne Il rifugio c’è un bambino. In questo caso, però, non è il centro della storia, anche perché verrà alla luce solo nel finale. Mousse e Louis sono due eroinomani. Lui muore di overdose all’inizio del film, e lascia lei sola e incinta. Nonostante i genitori di Louis le chiedano di abortire, Mousse si rifiuta di farlo e si ritira in solitudine in una villa in riva al mare, il rifugio del titolo. L’arrivo di Paul, fratello di Louis, turberà il suo già precario equilibrio. Ozon riprende un discorso sul lutto iniziato con Sotto la sabbia (a tutt’oggi, il suo capolavoro) e proseguito con Il tempo che resta (il cui protagonista era, non a caso, Melvil Poupaud, che qui interpreta Louis). Nella prima parte, riesce a combinare bene il racconto sottovoce di sentimenti e bisogni che non vengono mai esplicitati ma solo accennati, con il tema del rapporto uomo-natura: meravigliose in particolare le riprese del mare nella scena in cui Mousse incinta cammina sul bagnasciuga. Ed è bellissimo, perché se il personaggio di Charlotte Rampling in Sotto la sabbia dopo la scomparsa del marito impazziva letteralmente, incapace di accettare il suo lutto, qui invece sembra quasi che Mousse rinasca completamente dopo la perdita del compagno. Nella parte centrale del film, in fondo, non ha più bisogno dell’eroina per stare bene con chi la circonda, per sorridere, per godere di quello che la vita ha da offrirle. La trasformazione fisica di una bravissima Isabelle Carré (davvero incinta durante le riprese) nel corso del film sottolinea ancora di più questo aspetto: il rifugio dall’orrore della vita, per la protagonista, è costituito paradossalmente dall’elaborazione del suo lutto. Purtroppo, nell’ultima parte il film arriva in maniera davvero troppo repentina ad una conclusione che avalla la prima parte del film (la rigenerazione di Mousse non è dovuta alla sua gravidanza), ma che contemporaneamente vorrebbe aprire in modo questa volta molto diretto e per niente ambiguo un altro discorso (sulle adozioni omosessuali) proprio mentre sta chiudendosi. Confermando ancora una volta che l’ambiguità e la metafora — che Ozon aveva usato così genialmente in Ricky per parlare di diversità e quindi anche di omosessualità — possiedono una forza espressiva che le esposizioni dirette semplicemente si sognano.