di Alain Resnais
L'année dernière à Marienbad, Francia 1961, drammatico, 94', b/n. Con Giorgio Albertazzi, Delphine Seyrig, Sacha Pitoëff.
In tutta la storia del cinema, è difficile trovare un film più misterioso e labirintico di L’anno scorso a Marienbad. Nella lussuosa cornice di un grande albergo dell’Europa centrale, un uomo incontra una donna. Lui (Giorgio Albertazzi) dice di averla incontrata l’anno prima in una nota località termale, forse Marienbad. Lei (Delphine Seyrig) dice di non ricordare, o forse finge di non ricordare. La macchina da presa di Resnais indugia mobilissima lungo corridoi che si succedono ad infinitum ad altri corridoi, in sale silenziose abitate da personaggi spettrali, in giardini geometrici e adornati di misteriose statue secolari, su soffitti istoriati ed enormi lampadari. Esclusi i due protagonisti, gli altri personaggi sono praticamente annullati, non esistono o comunque hanno la stessa importanza di qualsiasi altro arredamento. A parte il marito di lei, un cadaverico Sacha Pitoëff (al quale, non a caso, Dario Argento affiderà vent’anni dopo il personaggio di Kazanian l’antiquario in Inferno). Quest’ultimo sfida continuamente l’uomo con un gioco che propone dapprima con le carte, poi con i fiammiferi; e vince sempre. Intanto l’uomo cerca di convincere la donna di averlo conosciuto, cercando di farle riaffiorare ricordi del loro incontro. Ma nulla nel film dice se si tratti di un sogno (visti i toni, meglio sarebbe dire un incubo), di un’invenzione di lui, di veri e propri ricordi che però sono confusi e contraddittori tra di loro. Se si tratti di un amore mancato, atteso, fantasticato o semplicemente negato. Se lei abbia ceduto davvero alle lusinghe di lui, sia stata uccisa dal marito ed abbia poi rimosso, in un’altra vita (i personaggi non sono altro che fantasmi), il ricordo di colui che è stato causa della sua morte. O se lui sia stato innamorato segretamente di lei, senza essere riuscito mai ad avvicinarla (il film sarebbe in questo caso tutta una proiezione mentale del desiderio di lui), oppure senza essere stato ricambiato. Ecco: tra tutte le possibili interpretazioni del film — tutte ugualmente lecite ovviamente — quella di un amore idealizzato e impossibile è quella che personalmente trovo più affascinante nonché coerente con lo stile e l’ambientazione del film. Non è un caso se il luogo dell’incontro è un hotel, luogo di passaggio per eccellenza: un breve incontro. Ed anche la meravigliosa inquadratura, sovraesposta e reiterata, di lei che continua ad alzare le braccia immersa nel candido biancore di un vestito di piume, sembra supportare questa tesi. Qualcuno obietterà che L’anno scorso a Marienbad è un film lento e masturbatorio, che non porta da nessuna parte. Qualcuno ha parlato di un “esercizio di stile”, visto che Resnais qui dirige come respira e che, grazie anche alla raffinatissima fotografia del grande Sacha Vierny, il film è stilisticamente ineccepibile: inquadrature algide e perfette si susseguono l’una dopo l’altra in un mosaico di rara bellezza che non può lasciare indifferenti. Lo stile del film pertanto non è mai stato messo in discussione da nessuno. Ma la freddezza delle inquadrature, dei volti impassibili dei protagonisti che non battono mai ciglio, della voce fuori campo ossessiva e ridondante e spesso in contraddizione con le immagini, delle statue e degli ambienti che sembrano disabitati da secoli (altro che l’Overlook Hotel di Shining!), del commento musicale che potrebbe appartenere ad un horror, non è certo involontaria né fine a se stessa. Chi non ha mai provato la turpe freddezza di un amore non ricambiato o semplicemente non vissuto, quando l’amore diventa un labirinto infinito che pare non avere vie d’uscita? Quando il pensiero gira sempre in tondo sulla persona amata, in ogni luogo e tempo, passato, presente e futuro; mentre le altre persone sono ridotte a puri manichini in confronto ad essa. E quando, inevitabilmente, si gioca una partita che è persa in partenza e che non può che non portare da nessuna parte. Citando il titolo del film d’esordio di Fassbinder, potremmo dire che L’anno scorso a Marienbad — sceneggiatura di Alain Robbe-Grillet e Leone d’oro alla mostra del cinema di Venezia — è un film freddo e insensibile, bellissimo e glaciale, disumano come solo l’amore a volte sa essere, più freddo della morte.